Metamorfosi

Metamorfosi

Non so se la farfalla abbia coscienza razionale del suo divenire, so che la metamorfosi europea è in impetuoso corso e sarà bene esserne pienamente coscienti. Non è ancora scritto quale ne sarà l’esito, perché la storia non è mai scritta in anticipo (a supporlo, solitamente, sono i poi beffati dalla medesima). Ma questo processo cambia il quadro in cui ci si muove.

Mesi addietro, neanche immaginando la criminale scelta russa d’invadere l’Ucraina, ragionavamo della difesa integrata europea sostenendo che il primo passo non consiste nell’organizzare i battaglioni, ma nel coordinare produzione e acquisti. L’annosa discussione è divenuta un fatto in poche settimane e la Commissione europea già raccoglie le singole necessità nazionali.

Quando passeremo anche al profittevole coordinamento industriale la metamorfosi sarà avvenuta, rendendo assai più efficiente la spesa pubblica di ciascuno. Avremo più ricchezza e più sicurezza, perché integrate. Il paletto politico resterà quello su cui ieri è tornato Draghi, parlando al Senato: quella forza militare è “complementare” alla Nato di cui facciamo e continueremo a fare parte.

Posta la permanenza dei programmi e fondi europei (per l’agricoltura disponibile un altro miliardo e 200 milioni di euro), sul fronte energetico la Commissione mobilita ulteriori 300 miliardi, per 225 attingendo ai fondi non opzionati del Recovery. Ancora una volta l’Italia sarà fra i principali, se non il principale (come lo siamo per Ngeu) beneficiario.

Il RePowerEu è significativo per le risorse economiche che mobilita, ma lo è assai di più per quel che significa. La scelta politica non è quella, rinunciataria, di considerare irraggiungibili i risultati del precedente programma di conversione energetica, spostandone nell’avvenire lontano le scadenze, ma di confermarli, mettendo nel conto costi assai più alti nell’immediato. Le parole di Draghi, sempre al Senato, vanno lette non (solo) con gli occhiali dell’ambientalismo, ma con quelli della politica: il gas, oggi indispensabile, è un “combustibile di transizione”.

Entro la fine del 2024 non compreremo più neanche una bombola dalla Russia (che così si assicura impoverimento e marginalizzazione), procurandocelo altrove, ma con l’idea che (relativamente) presto non ne compreremo più. E questo anche grazie ad accordi con i Paesi africani oggi esportatori di materie prime energetiche e domani di elettricità, con noi coprodotta da fonti rinnovabili.

Questo comporta investimenti, stabilità dei rapporti internazionali e dimensione (politica, economica e militare) per potere negoziare. Roba simile non è faccenda italiana, ma neanche tedesca o francese, può essere solo europea.

Una volta imboccata quella strada non si torna più indietro, come una farfalla non torna crisalide, semmai depone le uova e il ciclo riparte. Il punto critico è che le istituzioni dell’Unione europea, così come si sono fin qui strutturate, non sono adeguate. Non perché siano sbagliate, ma perché rispondevano ad altri bisogni.

Non si tratta di demolirle, ma di evolverle. E per riuscirci si deve capovolgere lo schema culturale che sta nella testa di molti: devolvendo più materie lo Stato nazionale non si indebolisce, ma rafforza la propria sovranità, giacché non farlo significherebbe piegarsi alle dittature che invadono o spegnere la luce.

La sola istituzione dell’Unione che non può esimersi dal prendere decisioni e farlo in fretta è la Banca centrale europea, dove si decide a maggioranza. Puoi far parte dell’Ue e non dell’Euroarea (lo fanno in otto), ma se hai l’euro in tasca accetti quella regola. Questa è la traccia da seguire per le altre integrazioni.

È appena il caso di aggiungere che a un disegno simile ci si può legittimamente opporre, chiedendo agli elettori di uscire da tutto, isolandosi e affondandosi. Quel che non si può fare è fingere che non cambi vincoli e condizioni della vita politica, ricordando che a ridere dei saltimbanchi son bravi tutti, ma poi si paga il sollazzo.

La Ragione

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