Incatenati agli errori

Incatenati agli errori

Nell’autorizzare il processo a Matteo Salvini è stata commessa una catena d’errori. Ciascuno ha voluto stringersi il suo anello al collo, per pochezza culturale, opportunismo, ottusa furberia. Il risultato è una ribadita subordinazione della politica a un improprio giudizio penale.

Le scelte fatte dal governo italiano, in quell’agosto del 2019, non le condivisi e non le condivido, ma non c’è dubbio alcuno che furono scelte del governo tutto. Tacque ed acconsentì il Movimento 5 Stelle, tant’è che, di lì a qualche settimana, nel far saltare il governo, la Lega di Salvini propose Di Maio come nuovo capo dell’esecutivo. Acconsentì anche il presidente del Consiglio, l’avvocato Conte, che nel pretendere che dalla Open Arms fossero sbarcati i minorenni certificò il proprio consenso a che gli altri rimanessero a bordo. La faccenda durò più di venti giorni e si concluse con un intervento di sequestro e ordine di sbarco della procura d’Agrigento, senza che mai, dal governo, nessuno smentisse la linea di cui il ministro dell’interno e vice presidente del Consiglio era interprete. Sicché, oggi, mandare solo lui a processo è, al tempo stesso, una vigliaccata e una meschina furbata.

Quella linea, naturalmente, non fu affatto dettata dal bisogno di difendere l’Italia dai clandestini, che continuarono a sbarcare, in quel caso come in altri. Né fu l’affermazione di dovere fermare l’immigrazione, visto che il medesimo governo mise nero su bianco che fossero necessari 160mila immigrati in più. Ogni anno e tutti gli anni. Fu grossolana propaganda. Eguale e contraria a quella di chi sosteneva l’esigenza d’accogliere e abbracciare. Due complici castronerie.

Se rimproverare incoerenza e viltà ai pentastellati potrà sembrare inutile e trasformismo a Conte ingenuo, quella che si capisce meno è la non posizione del Partito democratico: sono al governo con chi condivise quelle scelte e sostengono a chiacchiere la necessità che la politica recuperi autonomia rispetto non alla giustizia, ma alle procure, alle accuse, alle inchieste, e la più preziosa delle occasioni non è quando quelle si rivolgono contro qualche compagnuccio, ma quando colpiscono l’avversario. Occasione sprecata, a dimostrazione di una forza politica priva di forza ideale e spessore culturale.

Tralasciamo i giocolieri della parola, ottimi contraddittori di sé medesimi. Si può essere piccoli per forza politica e grandi per coerenza, ma riuscire a essere piccoli e incoerenti è faccenda da antropologia della decadenza. Forza Italia e Fratelli d’Italia difendono il loro alleato odierno, continuando la finzione secondo cui sarebbero interpreti di una medesima linea politica, laddove è solare che ne interpretano di opposte. Per farlo, però, inneggiano alle scelte di un governo cui si opponevano. Ancora una volta anteponendo il falso di un’alleanza puramente elettorale.

Ma non è forse giusto che, laddove s’ipotizzi un reato, l’ex ministro sia processato? No. Per niente. Il voto dell’Aula, presente in tutti i sistemi in cui il diritto abbia un senso, serve a distinguere il processare un politico dal processare una politica. Consentendo la seconda cosa il Parlamento ricommette suicidio, per la centesima volta.

Una catena micidiale, talché sembra quasi si possa essere indulgenti con chi l’anello ce l’ha al naso, rispetto a chi se lo stringe al collo.

 

Pubblicato da Formiche

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