In ricordo di Giordano Bruno, nella dotta ricostruzione storica e filosofica di un incredibile vita, fatta da Carlo Nordio

In ricordo di Giordano Bruno, nella dotta ricostruzione storica e filosofica di un incredibile vita, fatta da Carlo Nordio

Tra due giorni, il 17 febbraio, ogni intelletto liberale e libertario ricorderà la morte di Giordano Bruno, scrittore, filosofo ed eretico frate domenicano, spedito al rogo dall’ Inquisizione Romana nell’ anno 1600. Fu una pagina buia nella storia della Chiesa, allora dominata dall’ austera figura del Cardinal Bellarmino, che tanta parte avrebbe poi avuto nel processo a Galileo. Per la condanna di quest’ ultimo, il Papa ha ammesso l’ errore. Per quella di Bruno, ha solo espresso rammarico. Quanto a Bellarmino, è stato santificato.

Filippo Bruno era nato a Nola nel 1548, e cambiò nome in Giordano quando, a 17 anni, entrò in monastero a Napoli. Non era una scelta di fede, ma di convenienza, perché il giovane aveva già maturato forti perplessità sulla teologia cristiana, ma il convento offriva la tranquillità e la biblioteca propizie allo studio che tanto lo appassionava. Fu affascinato dalla mitologia pagana, dall’ atomismo di Democrito e di Lucrezio, dagli scritti di Avicenna e Averroè, dal misticismo medico di Paracelso e dall’ occultismo di Cornelio Agrippa.

La sua mente, intimamente agitata da tensioni passionali, era inadatta a ordinare questo mélange in una visione coerente, e il suo fisico intemperante non la aiutava in uno studio sistematico. Era ossessionato dall’ erotismo, e vide nella sessualità una sorta di forza insopprimibile, che, opportunamente manipolata, poteva agire come arma di seduzione universale. Alcuni secoli dopo qualche psicanalista avrebbe accolto queste idee stravaganti.

LE CORTI EUROPEE

Abbandonò presto la tonaca (che avrebbe episodicamente recuperato in prosieguo), e cominciò a peregrinare per l’ Itala e l’ Europa accattivandosi il favore di nobili e di sovrani con il magnetismo della sua personalità, l’ arditezza delle sue teorie e la potenza della sua memoria. Seguendo il consiglio di Cicerone, (memoria minuitur nisi eam exerceas) imparò ad allenare questo muscolo cerebrale con risultati sorprendenti, che la neurofisiologia oggi conferma, indicando nell’ attività mentale un buon antidoto alle degenerazioni senili. Stupì in questo modo le Corti di Londra e Parigi che gli aprirono le porte delle università di Oxford e della Sorbona. Per un momento, fu considerato il più geniale intelletto europeo.

Nel frattempo scriveva con foga incandescente. Maturò una visione quasi estetica del mondo, dominato da un’ energia divina, infinita ed eterna, che di cristiano non aveva più nulla. La Chiesa cominciò ad allarmarsi, mentre calvinisti e luterani, ancor più intolleranti dei papisti, ne pretendevano l’ arresto, o almeno l’ espulsione, ovunque mettesse piede. Bruno reagì con il suo eroico furore, definendosi professore della più pura ed innocua saggezza in un mondo di asini, di opportunisti e di turlupinatori.

L’ inganno maggiore, secondo lui, risiedeva nel cristianesimo, e l’ imperterrito frate auspicò lo spaccio, cioè la rovina, della bestia trionfante, che molti identificarono nella Chiesa cattolica. Il Santo Uffizio decise di intervenire. Minacciato di arresto, Bruno nel 1591 lasciò Francoforte e si recò a Venezia, che allora aveva fama di relativa libertà religiosa, e, come l’ Impero Romano, tollerava le fedi diverse purché non interferissero negli affari statali.

GLI ASINI IPOCRITI

Tuttavia la Serenissima era pur sempre una terra cristiana. Se Bruno avesse tenuto una condotta prudente, nessun lo avrebbe toccato. Ma l’ imperterrito esule continuò a tempestare il mondo di libelli offensivi e blasfemi: definiva i frati asini ipocriti, negava la Trinità, assimilava Cristo e gli Apostoli ai fraudolenti prestigiatori, ed esaltava un coribantico delirio sessuale.

Il suo ospite, Giovanni Mocenigo, allarmato da queste pericolose provocazioni, lo consegnò all’ inquisizione locale, il Senato veneziano, che dopo qualche esitazione, e rilevando che Bruno era cittadino di Napoli e non di Venezia, il 27 febbraio 1593 lo spedì a Roma in catene.

Qui cominciò il suo lungo calvario. Fu tenuto in stretto isolamento, ripetutamente interrogato e forse torturato. Bellarmino non voleva farne un martire, e si sarebbe accontentato di una ritrattazione formale. Ma il prigioniero non cedette, ed anzi rilanciò con maggior vigore le sue tesi. Papa Clemente VIII, esasperato, ordinò una sollecita sentenza.

La condanna fu inevitabile, e Giordano Bruno impenitente, ostinato e pertinace, dopo essere stato consegnato al braccio secolare fu portato nudo a Campo dei Fiori, e arso vivo.

Che dire di lui? Non fu un filosofo, perché gli mancò una sistematica speculativa dove inserire la sua moderna visione del mondo. E non fu uno scienziato, perché la sua intelligenza febbrile era troppo offuscata dalla magìa e dai pregiudizi. Tuttavia anticipò l’ astrofisica moderna, definendo l’ Universo un insieme di mondi infiniti, e lo stesso Einstein, affermando l’ interconnessione, e quindi la relatività, dello spazio, del tempo e del moto. Oggi anche questi concetti sembrano vacillare, e alcuni sostengono che l’ Universo sia limitato, in mezzo ad altri Universi paralleli, e che anche la teoria di Einstein, come la geometria euclidea, valga solo a certe condizioni. Le verità della scienza sono sempre provvisorie.

IL PANTEISMO

In realtà Bruno era un mistico poeta della Natura, roso e corroso da un’ emotività incontenibile, che tra banalità ed esaltazioni gli ispiravano una nebulosa confusione di dogmi e di superstizioni.

Il suo stesso panteismo (o meglio pan-enteismo) non ebbe la formulazione solenne di Spinoza e si perdette in elucubrazioni tanto eccentriche quanto quelle che combatteva. Il nostro eretico domenicano credeva nell’ influenza dei pianeti, nelle qualità occulte di oggetti e di numeri, nella natura demoniaca delle malattie e nella loro guarigione attraverso amuleti o improbabili rituali. La sua sfrenata sessualità gli impedì la quieta riflessione del saggio, e le immagini torbide che lo ossessionarono per tutta la vita si trasferirono nell’ astio delle sue polemiche e nell’ oscurità del suo linguaggio.

Come tutti gli eretici fu di incorreggibile intolleranza e di inaudita violenza verbale. Nessun dubbio che se fosse stato al posto del Cardinal Bellarmino si sarebbe comportato con severità assai maggiore. E tuttavia questo predicatore apocalittico, anche se non ci ispira simpatia, ci impressiona per il suo vigore e la sua indipendenza. Le parole indirizzate ai carnefici – Forse voi che pronunciate la sentenza siete in maggior tema di me che la ricevo – anche se non fossero vere sono verosimili, perché in sintonia con la forza morale del condannato ribelle.

Cosicché oggi, ogniqualvolta passiamo in Campo de Fiori, guardiamo con rispetto quella statua un po’ lugubre come l’ anima del suo rappresentato, e ci inchiniamo riverenti davanti a un uomo che ha difeso con la vita le proprie idee, per quanto singolari.

Articolo pubblicato su Il Messaggero del 15.02.2020
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