Diserzioni in aula. Gli alibi dei docenti che offendono la categoria

Diserzioni in aula. Gli alibi dei docenti che offendono la categoria

Non sappiamo se, alla prossima riapertura delle scuole, ci saranno tutte le aule e i banchi. Peggio ancora, non sappiamo se ci saranno tutti gli insegnanti e gli alunni. Per questi ultimi è assai allarmante che molti genitori si rifiutino di sottoporli al tampone, visto che si tratta di iniziative a tutela della salute dell’intera famiglia. Per i primi invece la questione è anche più seria.

Pare infatti che circa un terzo di docenti accampi problemi di rischio dovuti all’età, peraltro neanche tanto avanzata, visto che si parla di 55 anni, e che un’analoga percentuale rifiuti i test diagnostici per motivi di riservatezza o più semplicemente «di principio».

Se a ciò si aggiunge il timore di dover rispondere personalmente se qualche allievo venisse contagiato, la prospettiva di una massiccia diserzione è abbastanza reale. Sarebbe un disastro per la scuola, e soprattutto per l’immagine del Paese, che dopo avere sopportato con dignità e disciplina vari mesi di forzati arresti domiciliari, vedrebbe ora franare le stesse fondamenta educative su cui si regge e su cui dovrebbe costruire il suo futuro.
E sarebbe anche un funesto messaggio sulla figura degli insegnanti, che in fondo hanno subito meno di tante altre categorie le devastazioni economiche e professionali dell’epidemia e darebbero ora una dimostrazione di pavido e irragionevole egoismo.

Va detto, per doverosa imparzialità, che insegnanti e presidi hanno alcuni motivi per essere preoccupati. Ma non per i rischi del virus che, con le opportune cautele, possono essere, se non esclusi, consapevolmente gestiti, quanto per quelli della responsabilità penale e civile, che traggono origine dalla vetustà della nostra legislazione e dal sostanziale disinteresse dello Stato nel tutelare i suoi collaboratori.

I nostri codici penale (del 1930) e civile (del 1942) prevedono infatti la responsabilità di chi vigila sui minori, se questi subiscono un danno mentre sono affidati alla loro tutela. Senonché all’epoca della promulgazione di queste norme – in pieno fascismo – all’onere di vigilanza era connesso il potere disciplinare, quello “ius corrigendi” che talvolta si estrinsecava in modeste pene corporali, come il righello del maestro o i sassolini dietro la lavagna.
Il potere degli insegnanti era virtualmente assoluto, e quasi sempre assistito dalla solidarietà degli stessi genitori.

Oggi, se un maestro bacchettasse un bambino, finirebbe dritto davanti al tribunale dell’infanzia, ed anche un innocuo rimprovero verbale susciterebbe le ire delle mamme e delle loro benemerite associazioni. Questo non significa che si debba reintrodurre il frustino. Significa che gli insegnanti hanno le stesse responsabilità di un tempo senza avere i poteri di impedire l’evento dannoso.

Non è tutto. Presidi e insegnanti non corrono il rischio di finire in prigione. Se un bambino si ammalasse bisognerebbe dimostrare che ha contratto il virus a scuola, e non a casa o altrove: una “probatio diabolica” che nessuno sarebbe in grado di fornire. Tuttavia corrono il rischio di una denuncia, che chiunque può fare senza neanche la spesa della carta bollata. E poiché da noi non esiste sanzione per la denuncia temeraria, e molti avvocati si prestano a patrocinare anche le cause più incredibili nella speranza di qualche risarcimento transattivo, possiamo star certi che molti presidi e docenti riceveranno un’informazione di garanzia, subiranno lo stress di un’indagine e quello, anche più lacerante, delle spese legali. Qui lo Stato deve fare qualcosa subito. Anche se non può, per ragioni di tempo e di tecnica normativa, cambiare le leggi vetuste, può assicurare i suoi collaboratori che non subiranno nessuna conseguenza professionale da queste aggressioni giudiziarie, e soprattutto che sarà lui, lo Stato, a pagare le parcelle dei difensori.

Con queste garanzie, verrebbero meno anche gli alibi un po’ meschini che, per colpa di una minoranza, gettano un’ombra funesta sulla categoria degli insegnanti. Per verità non solo su di loro, visto che un analogo ostruzionismo serpeggia un po’ dappertutto, dai genitori, come s’è detto, fino agli agenti penitenziari, alcuni dei quali si sarebbero rifiutati di rilevare la temperatura di chi accede ai tribunali perché questo esulerebbe dalla loro competenza.

Ora, sarebbe davvero paradossale se proprio adesso, mentre si avvertono segnali di ripresa, i primi sintomi di sgretolamento civile arrivassero proprio dalle categorie che, a titolo diverso, dovrebbero garantire la formazione dei ragazzi e la sicurezza di tutti. E sarebbe un oltraggio a quelle migliaia di medici e operatori sanitari che nei mesi passati hanno rischiato, e spesso sacrificato la vita, senza indugiare sui sofismi della privacy o delle competenze contrattuali. L’auspicio è che lo Stato mandi a tutti l’energico messaggio di Nelson a Trafalgar: «Il Paese si aspetta che ognuno faccia il proprio dovere». E naturalmente che sia Lui, lo Stato, a darne per primo il buon esempio.

Il Messaggero

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