Compito ingrato, per la Presidente Von der Leyen, quello di illustrare, nel suo discorso sullo stato dell’Unione 2025, i progressi compiuti dall’Europa in un anno difficile. Incarico che, stavolta, è stato reso ancor più complesso dalla ricorrenza dei primi 12 mesi del Rapporto Draghi sul futuro della competitività europea, caduta alla vigilia dell’intervento della Presidente e che ha alimentato perplessità sull’effettivo stato di attuazione del documento, mettendo in risalto le discrepanze tra ciò che oggi l’Europa realmente è e ciò che vorrebbe – ma che non riesce – ad essere.
Ne abbiamo trattato sulle nostre pagine, di come l’UE abbia recepito solo l’11,2% delle esortazioni di Mario Draghi, con l’innovazione in testa tra i settori su cui abbiamo perso più terreno. Non a caso, a ideare il neonato strumento di monitoraggio “Draghi Tracker” è stata la Joint European Disruptive Initiative, agenzia di finanziamento per l’innovazione tecnologica di rottura, campo in cui l’Europa latita e gli States dominano.
Si prenda la California, terra delle tecnologie dirompenti per antonomasia: il suo Pil da solo ha superato quello del Giappone, rendendola così la quarta economia mondiale. Un predominio incarnato dalla Silicon Valley, che corrisponde a una sola contea della California ma che contribuisce con circa 840 miliardi al suo Pil di 4,1 trilioni di dollari: un risultato che la vede, da sola, tra le prime 20 economie del pianeta. Non un miracolo, ma il prodotto di un ecosistema fiscale e normativo dinamico e antitetico al modello asfittico imposto in Europa: una leadership costruita privilegiando reattività, assenza di vincoli, libera concorrenza e disponibilità di capitale privato. L’Europa, al contrario, risponde con rigidità e iper-regolamentazione: un approccio che mina la produttività e la fiducia dei mercati, impedendo la formazione di un terreno fertile per il capitale di ventura e gli investimenti ad alto rischio, precondizioni irrinunciabili per i distretti come la Silicon Valley.
Proprio il Rapporto Draghi ammoniva che “il 70% del gap nel Pil pro capite fra USA ed UE è spiegato dal basso livello della produttività europea”. Non a caso, dal 2019 la produttività statunitense per ora lavorata è cresciuta di circa il 7%, mentre nell’Eurozona solo di un asfittico 1%. Dati utili a spiegare il divario di investimenti in ricerca e sviluppo, con gli States che allocano il 3,6% del Pil annuo, mentre l’Europa è inchiodata al 2,2%: un gap di oltre 250 miliardi l’anno. Il settore dell’AI è ancor più emblematico, con la Commissione rimasta sorda alla richiesta dei giganti dell’economia globale di rimodulare e procrastinare l’entrata in vigore del criticato AI Act. Con gli investimenti europei che rappresentano solo un misero 4% del totale speso in America, sono presto spiegati la totale assenza di realtà europee tra i grandi nomi del settore e il fatto che circa il 90% dei finanziamenti globali in AI generativa finisca oltreoceano.
La mancanza di capitali di ventura è motivata da un ambiente in cui è estremamente complesso fare business, con il risultato che, nel 2023, le startup americane dell’AI hanno raccolto 62,5 miliardi di euro di investimenti privati ad alto rischio, mentre quelle europee – Regno Unito incluso – solo 9. Più in generale, le startup europee di ogni settore, nel 2023, hanno raccolto 52 miliardi di dollari in investimenti, ossia meno della metà rispetto ai 138 miliardi delle controparti americane. Non sorprende, dunque, che il valore medio delle startup USA abbia raggiunto dimensioni di 5-7 volte superiori alla media europea. In altri termini, gli USA attirano circa il 68% del capitale di ventura globale, mentre l’Europa si ferma intorno al 14%.
È così che tramonta la suggestione di una Silicon Valley europea, a cui mancano i presupposti individuati proprio dal Rapporto Draghi: l’istituzione di un autentico mercato unico dei capitali, la cui frammentazione, per riprendere le parole dell’ex premier, “ostacola le aziende innovative”, “riducendo così la domanda di finanziamenti”. Non a caso, quei pochi “unicorni” (startup con almeno 500 milioni di fatturato) che riescono a nascere in Europa (appena il 13% del totale globale), scelgono di trasferirsi al di là dell’Atlantico per crescere ed essere lasciati liberi di innovare. Di questi, infatti, ne abbiamo già perso ben il 40%.