Vuotare stanca

Vuotare stanca

C’è un grosso equivoco, che riguarda i referendum. Un fraintendimento che li svuota. Una falsificazione generante l’impressione che votare sia vuoto e inutile. E, alla lunga, vuotare stanca.

Si fa credere che ai referendum si voti “per” qualche cosa, ma è falso: si vota “contro”. L’equivoco inquina la memoria. In Italia non c’è mai stato un referendum “per” il divorzio, ce ne fu uno, il primo, “contro” il divorzio, istituito dalla legge Baslini (liberale) Fortuna (socialista). Chi convocò il referendum voleva cancellare il divorzio, non introdurlo. Difatti, e fu trionfo epocale, vinsero i No. Non vogliamo cancellarlo, No. Stessa cosa per i successivi. L’articolo 75 della Costituzione prevede solo referendum abrogativi, che cancellano. I referendum costituzionali sono tutt’altra faccenda, che nulla ha a che vedere con quelli di cui ora discutiamo.

L’equivoco, il fraintendimento, in parte il raggiro, poi creano disaffezione. Se faccio credere che un referendum istituirà la responsabilità civile dei magistrati e poi non c’è, perché si sono sì abrogate delle tutele, ma poi s’è regolata in modo opposto la faccenda (legge Vassalli), se cancello il ministero dell’agricoltura e mi ritrovo con il ministero delle risorse agricole e così via, poi a votare non ci va più nessuno, perché c’è un limite all’essere presi per scemi.

Si può discutere sull’opportunità dei referendum così detti “manipolativi”, ovvero che cancellando una parola qui e una lì, ottengono il risultato di una legge diversa. Operazione che, inoltre, come è il caso di tutti gli attuali, costringe a quesiti referendari illeggibili e incomprensibili. Se ne può discutere, ma la responsabilità non è mica dei comitati referendari, bensì del Parlamento che o non legifera o non lo fa in modo organico (la legge sul divorzio lo era, quindi si poteva, in blocco, essere favorevoli o contrari). Un cortocircuito che porta all’assurdo.

Prendete il referendum sul fine vita, o eutanasia che nominar si voglia: è assurdo dire che la Corte costituzionale avversa quella possibilità, sol perché ha considerato inammissibile il quesito, laddove è la medesima Corte che da tre anni sollecita il Parlamento ad approvare una legge e da due ha aperto la via al trapasso assistito. È assurdo, ma è stato fatto. Il punto è che il referendum non istituisce, ma cancella e nel cancellare a spizzichi e bocconi poi manca della roba: la Corte aveva indicato l’invivibilità dolorosa e la non rimediabilità quali condizioni, il Parlamento resta sovrano, ma immobile, mentre se cancello solo le punizioni non saprò mai a quali casi applicare la legge che ne risulta. Certo che si tratta di un tema complicato, certo che coinvolge aspetti etici e, per chi ci crede, anche di fede, ma la legge non è mica la certificazione dell’ovvio, tanto più ce n’è bisogno ove i confini sono mobili e ombrosi. Non sta scritto da nessuna parte che il Parlamento sia obbligato a legiferare in un senso o in un altro, ma quel che avviene è che non legifera affatto. Inerte.

In qualche caso convocare un referendum può servire a pungolare il legislatore, ma se la politica è inerte non per questo si può procedere a colpi abrogativi, perché si passerà dall’avere una cattiva norma ad averne una cattiva e scassata. Ripeto: non è responsabilità dei referendari, ma del legislatore.

Nessuno dei referendum ammessi sul tema della giustizia risolverà alcunché, ma voterò a favore delle abrogazioni, voterò Sì, perché il senso che ne rimane è una bocciatura popolare della mancata riforma della giustizia. In qualche caso, come sul Csm, il Parlamento dovrebbe arrivare prima, sebbene in ritardo. Nel qual caso l’appuntamento referendario sarà cancellato.

Nessuno farà la sola cosa che sarebbe giusta: rispondere ai quesiti. Perché non si capiscono e se si capissero non interesserebbero. E, anche questo, va sul conto del legislatore in letargo.

La Ragione

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