Un altro fisco è possibile

Un altro fisco è possibile

Puntualmente, alla vigilia di ogni legge di bilancio si ripropone il tema delle tasse e mentre tutti a parole dicono di voler semplificare il sistema fiscale e di voler abbassare l’imposizione, con caparbia chi è al governo si impegna in cervellotiche disquisizioni su nuove aliquote, detrazioni o gabelle. Prendiamo il dibattito di queste ultime settimane. Spiccano tre temi e una boutade.

Il primo è un sempreverde, che ricorda «le cose antiche ma pur sempre vive come il Martini con le olive» di una canzone di Vecchioni. Si tratta del mantra «per ridurre le tasse bisogna combattere l’evasione» ripetuto con stanchezza anche dal ministro Gualtieri. Allora, in primis è bene ripeterlo: se recupero soldi dalla lotta alla evasione e li utilizzo poniamo per ridurre l’Iva, non sto attenuando il peso fiscale. No. Sto introducendo maggiore equità nel sistema, persino efficienza (i soldi in nero hanno più difficoltà ad entrare nel circolo produttivo e chi non paga il dovuto fa concorrenza sleale), ma non riduco un bel niente: sposto il carico da chi già pagava a chi evadeva.

Ordunque, questa è una cosa bella e sana in sé ma la memoria ci avverte che i progressi sono lenti, le somme accertate dalla Guardia di Finanza spesso non si recuperano o non vengono confermate dalle commissioni tributarie e le ricette per ridurre l’evasione sono ormai stantie (ad esempio i controlli incrociati) mentre le presunzioni e interpretazioni vessatorie pro-Agenzia delle Entrate abbondano, generando ingiustizia ed incertezza.

Il secondo è appena un po’ più sofisticato: per calare le tasse eliminiamo le tax expenditures, vale a dire le miriadi di deduzioni e detrazioni che affollano il nostro ordinamento tributario. Orbene, dimentichiamoci per un attimo che negli ultimi anni bonus, crediti di imposta e deduzioni si sono moltiplicati invece che ridimensionati, in ogni caso anche qui spostiamo solo il peso delle imposte dai contribuenti generici ai beneficiari dei bonus. Si tratterebbe di un’opera meritoria, perché il denaro verrebbe speso o investito non dove è conveniente fiscalmente secondo una decisione arbitraria e motivata politicamente di chi governa, ma dove è economicamente efficiente.

La razionalizzazione porterebbe vantaggi anche dal punto di vista delle minori incertezze che attanagliano la compilazione della dichiarazione dei redditi. Ma ancora una volta non stiamo parlando di un abbassamento.

Terzo tema: la semplificazione della normativa e dell’apparato riscossorio. Il povero contribuente italiano perde parte della sua vita a correre dietro agli adempimenti fiscali: le imprese, ad esempio, 238 ore, il 31% in più della media europea di 182 ore con costi aggiuntivi superiori ai 2 miliardi. Il nuovo direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ruffini, professionista capace, ha proposto che le varie leggi vengano raggruppate in Testi unici, un’ottima idea. Meno buona sembra la proposta di far pagare per cassa i lavoratori autonomi: se non meglio specificata potrebbe diventare una complicazione. I tre caposaldi dovrebbero però essere la costituzionalizzazione dello Statuto del contribuente del 2000, che prevede principi garantistici, la professionalizzazione della giustizia tributaria (che tende ad essere piuttosto erratica), il diffuso utilizzo dell’interpello per dare certezze a cittadini e imprenditori. Si perdoni il facile calembour: non è facile semplificare.

Infine, la boutade, quella di Matteo Salvini che propone una bella flat tax al 15% sul fatturato delle imprese e non sugli utili, progetto che se fosse realizzato schianterebbe gli imprenditori sotto il peso delle imposte. A essere caritatevoli il leader della Lega aveva forse in mente di estendere il regime forfettario, oggi applicato ai lavoratori autonomi che, appunto, “fatturano” fino a 65.000 euro, a tutti. Avrebbe sbagliato comunque: uno dei problemi del nostro sistema impositivo è la proliferazione di balzelli ad hoc i quali, come si notava prima, creano diseguaglianze tra situazioni uguali e dirottano l’attività economica non dove conviene economicamente ma fiscalmente.

Conclusione? Passerei al ministro Gualtieri un’ideuzza di Oscar Wilde che almeno soddisferebbe il senso di equità universale: celibi e nubili siano tassati in modo più pesante degli sposati. Non è giusto che alcune persone siano più felici di altre.

 

La Stampa, 8/09/2020

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