TSO politico

TSO politico

Prima il Fondo monetario internazionale ha rivisto al rialzo la crescita dell’Italia (unico fra i Paesi sviluppati) per l’anno in corso, fissandola al 3%. Poi sono arrivati i dati Istat, che parlando di una crescita acquisita al 3.4%.

Ieri la stessa fonte ha fatto sapere che è al lavoro il 60.1% delle popolazione attiva (ovvero di quanti possono lavorare), con una crescita di 400mila occupati rispetto all’anno scorso (in cui siano cresciuti molto, ma con un effetto di rimbalzo rispetto al pessimo 2020), 116mila nell’ultimo mese. È sempre significativamente meno della media europea, ma il nostro massimo dal 1977.

Non significa che tutto vada bene, anche perché non è mai possibile. Ma è falso che tutto vada male. Se, nella condizione data, delle occasioni si sono colte e a dei guai s’è provato a porre rimedio, lo si deve a un equilibrio politico e alle scelte fatte. Siccome si attendono le urne, guardiamo alla politica. Che fa venire in mente un acronimo: TSO.

Scorrete interviste e slogan e vi accorgerete che la politica ha in mente un’Italia povera, affamata e in ginocchio. Ancora regge lo stellone, ma non si sa per quanto. Quel che si propongono per il futuro è reggere, ristorare, sussidiare. Chiunque obietti viene coperto d’improperi, accusato di avere le terga protette, d’essere un privilegiato e di vivere in un altro mondo.

Che, detto da taluni, dimostra la persistenza del senso dell’umorismo. Ma l’Italia che produce e porta a casa successi non c’è, in quella visione plumbea. Evidentemente sono convinti che chi sappia cosa fare mai li voterebbe, mentre il mercato del consenso fiorisce ove si conta di ricevere.

La grande differenza fra destra e sinistra consiste nel fatto che a destra sanno chi sono i coalizzati, ma ieri hanno avviato la discussione sul programma, come a dire che trattasi non del collante, ma, semmai, del solvente che potrebbe scioglierli, mentre a sinistra non sanno ancora chi sono, pur sapendo chi non ci sta, avendo in programma di battere la destra e provando a emularne la capacità di mettere assieme non solo i diversi, ma anche gli opposti. Per il resto è una gara al TSO: Tasse, Spese e Omissioni.

Non ce né uno che non voglia sgravare qualche cosa. C’è chi lo dice in inglese (senza curarsi della traduzione), chi in sindacalese, nessuno avendo la grazia di indicare come saranno coperte le mancanze di gettito, o come saranno compensate da diminuzione della spesa.

Sicché sappiamo, ed il guaio è che lo sanno anche i mercati, che tali promesse si tradurranno in maggiore deficit (e, difatti, condividono lo scostamento di bilancio) e maggiore debito. Una parola d’umana pietà per i giovani, che saranno assai meno numerosi e assai più indebitati dei loro cari, nel senso di costosi, genitori.

Sul lato Spese, del resto, è una multicolore fontana: c’è chi ti offre il dentista (e l’ortopedico?), chi vuole aumentare le pensioni e chi i pensionati (che come rappresentanza dell’Italia che lavora la dice lunga), chi già vede il ponte sullo Stretto (senza campate, innovativo perché immaginario) e chi, sapendo che ci sarà da aspettare, pianta alberi per accomodarsi all’ombra, ma c’è anche chi vuol dare la “dote” ai diciottenni (criticato da chi inventò il bonus diciottenni, una gara a chi premia prima e di più chi è eroicamente riuscito a non crepare prima).

Che ci sia una sanità pubblica diseguale, una leva demografica di cui tenere conto e un sistema formativo che nega adeguata preparazione prima della maggiore età, son questioni volentieri demandate al “tavolo” programmatico. E non vorrei essere nei panni del tavolo, che ancora cerca di capire perché talora lo vogliano “aprire” e talaltra pretendono che s’apparecchi da solo.

Andiamo fortissimi in quanto a Omissioni: chi, come, in che tempi e con che soldi? E perché per riuscirci s’è cominciato demolendo la condizione che ha portato i risultati di cui alle prime righe? Chi spera di avere risposte è da TSO. Ma l’altro.

La Ragione

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