Spreaddati

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Non si fermerà a chiacchiere, perché non è il frutto delle chiacchiere. Troppi amano prendersi e prendere in giro, credere e far credere che il costo del debito pubblico e lo spread, quindi quanto ci costa in più rispetto a quello di altri, dipendano dalle parole o dalla volontà di questo o quella, ma è una favola. Certo che se qualcuno straparla possono esserci delle conseguenze e certo che, ad esempio, all’inizio della pandemia il presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, commise un errore di comunicazione, ma quella roba passa in fretta. Mentre lo spread è lì, solido e permanente. A renderlo alto non sono le parole, ma il debito pubblico troppo alto. Ci si deve fare i conti, non vivere di pericolose illusioni.

Intanto consoliamoci con il lato gradevole: anche questo è un segno che si sta uscendo dalla pandemia, che si ritorna alla normalità. La cosa meno gradevole è che, nella normalità, a noi chiedono più interessi che ad altri, per prestarceli. Se togliete la parentesi covid e un solo anno (negativo), sono più di venti anni che l’Italia, costantemente in deficit, è in avanzo primario, vale a dire che i conti pubblici sono in attivo prima di dover pagare gli interessi sul debito contratto. Qualcuno crede che sia un merito eroico, ma è una trappola, significa che per onorare il costo del debito ci tocca fare deficit, quindi altri debiti. E siccome non si cavano le gambe fuori dalla trappola, ecco che chi presta il denaro ci chiede di guadagnare più che prestandolo ad altri. Non per cattiveria, ma perché comportiamo un rischio maggiore. Per averne cognizione non guardate sempre al nostro spread, isolato, quindi alla differenza d’affidabilità e rischio fra noi e la Germania, guardate anche gli altri: siamo, da anni, costantemente sopra e quasi al doppio di Spagna e Portogallo, che pure sono indebitati. Ed è stato così anche quando gli spread erano assai bassi, ma noi sempre sopra di loro. Trucco, raggiro, complotto? No, affidabilità che il debito continui ad essere onorato e che il solo mezzo per farlo non sia fare altri debiti.

C’è una corrente sovranista che chiese (chiede ancora? avete notizie?) di tornare alla lira per essere liberi e sovrani. Non si sa se sono pazzi o ci hanno presi per scemi: la sovranità è minacciata dal debito, non da come lo conti, e se pensi di pagare chi presta con i soldi del Monopoli fai la fine dell’Argentina, che dopo essersi indebitata in dollari, perché la moneta nazionale non la voleva nessuno, è piombata in miseria.

Mario Draghi, alla Bce, domò gli spread perché mostro le armi con cui avrebbe combattuto la speculazione. Fu convincente e calarono. Bravo. Ma il nostro rimase superiore a quello degli altri, né sarebbe potuto essere diversamente. Allora, che si fa?

Si evita di piagnucolare, non ci si rintrona appresso ai complottismi, testa bassa e pedalare, perché il debito non si ripaga, quei soldi non vanno restituiti, ma è necessario che la ricchezza prodotta ogni anno cresca più velocemente di quanto cresca e crescerà il costo del debito. A quel punto si ridurrà il suo peso percentuale sul prodotto interno lordo e lo spread non farà paura. Per ottenere la crescita non serve a nulla inventare bonus ed è masochista sovvenzionare il non lavoro, ovvero la non produzione. Quando altri vedono quelle nostre scene si ricordano anche che siamo i più sovvenzionati e protetti dalla Bce, sicché si rivolgono verso Francoforte e chiedono di piantarla. Da qui le parole dette e non dette. Per crescere occorre investire, innovare, formare, selezionare, riformare, tagliare l’inutile e piantarla di frignare. E serve far capire che lo si farà per anni. Non so se è chiaro, ma la sceneggiata politicante, fra trasformismi, frazionismi ed esibizionismi, costa assai. Impoverisce. Oltre a essere insopportabile.

La Ragione

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