Rinunciare al mercato americano non si può, e soprattutto non si deve. Ma è inutile farsi illusioni: pur confidando nella capacità della Commissione europea di negoziare con gli Stati Uniti dazi inferiori all’annunciato 30%, tanto vale rassegnarsi sin d’ora il fatto che per l’Europa, e dunque anche per l’Italia, l’interscambio commerciale tra le due sponde dell’Atlantico presupporrà costi considerevolmente superiori.
Affinché le aziende italiane ed europee ammortizzino i minori introiti sul fronte americano, occorre, dunque, battezzare nuovi mercati e potenziare gli accordi commerciali già in essere. Rieccoci, dunque, alle prese con il famigerato accordo Ue-Mercosur.
Il Mercosur è il mercato comune, cioè l’area di libero scambio, dell’America latina. Ne fanno parte il Brasile, l’Argentina, il Paraguay, l’Uruguay e, anche se la sua posizione è stata sospesa dopo il golpe di Maduro, il Venezuela. Secondo i più recenti studi di Confindustria, se l’Unione europea accedesse senza dazi a quel mercato, l’Italia ricaverebbe utili commerciali nell’ordine dei 3 miliardi di euro. Un’importante boccata d’ossigeno per la meccanica, l’automotive, la farmaceutica, la siderurgia e l’agroalimentare. Ma non solo. Essendo i paesi del Mercosur tra i principali produttori mondiali di “materie prime critiche”, essenziali per la transizione digitale, l’Unione ne guadagnerebbe in competitività a basso costo.
Dopo la bellezza di 25 anni di negoziati, lo scorso dicembre la Commissione europea ha chiuso l’accordo con il Marcosur prevedendo un reciproco abbattimento dei dazi su oltre il 90% delle merci e integrando due mercati che complessivamente contano 700 milioni di consumatori. Come di consueto, per entrare in vigore l’accordo deve essere approvato dai capi di Stato e di governo rappresentati nel Consiglio europeo, e la domanda è: come voterà Giorgia Meloni. Dovessimo basarci solo sulle dichiarazioni passate, il voto sarebbe senz’altro negativo.
Prima di andare al governo, infatti, Fratelli d’Italia, come del resto la Lega, era fermamente contraria all’accordo. Una contrarietà figlia della radicale sfiducia nei confronti delle istituzioni europee e del naturale, per la destra estrema, sospetto nei confronti della globalizzazione.
I partiti politici hanno un’anima e hanno una storia. L’anima di Fratelli d’Italia è quella di un partito nazionalista, la sua storia è quella di un partito di opposizione. Un partito, cioè che, non avendo responsabilità di governo, per oltre un decennio ha cavalcato ogni tigre demagogica all’insegna del No. E dunque: No euro, No trivelle, No Tap… A differenza del due volte vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, giunta a capo del governo Giorgia Meloni ha però cambiato pelle. Si è, infatti, riconciliata con l’Europa, ha ritrattato il velleitarismo no euro, ha stretto un patto politico con Ursula von der Leyen, ha rivolto la prua di Fratelli d’Italia verso il Ppe, ha tenuto in seria considerazione il parere delle autorità monetarie, ha apprezzato i vantaggi dei mercati aperti.
Il problema, oggi, si chiama Coldiretti. Il cui presidente, Ettore Prandini, era ed è rimasto ferocemente contrario all’accordo con il Mercosur. Considerando che Prandini è molto legato sia a Giorgia Meloni sia al ministro dell’Agricoltura Lollobrigida e che Coldiretti viene ritenuta, forse più torto che ha ragione, un collettore di voti, il parere di Prandini ha fino ad oggi impedito la ratifica dell’intesa tra l’Unione europea e il Mercosur. A lume di naso, è solo questione di giorni: a breve, il governo Meloni si dirà disponibile a ratificare l’accordo. Un ennesimo segno della differenza che passa tra l’irresponsabilità dell’opposizione e le responsabilità di governo.