Se il pregiudizio etico ispira il posizionamento politico

Se il pregiudizio etico ispira il posizionamento politico

Attendere 48 ore dai fatti per vedere se tesi nuove si fossero mai affacciare nel dibattito pubblico e infine rassegnarsi di fronte all’inesorabile ripetizione del sempre uguale. Due assunti: le opinioni prescindono regolarmente dai fatti; il pregiudizio etico ispira regolarmente il posizionamento politico, a dimostrazione della tesi, in verità acclarata da tempo, che la società e la politica italiana sono quanto di più lontano dalla sensibilità e dal metodo liberale. L’avversario è dunque un nemico, ed è un nemico non per ragioni politiche ma per ragioni etiche.

I fatti sono quelli del Salone del libro di Torino. Ma i fatti, in Italia, sono regolarmente subornati dalle opinioni. L’opinione, a sinistra, è che la destra sia “fascista”. Elly Schlein, Matteo Orfini, Roberto Saviano e Michela Murgia, ovvero i rappresentanti politici e gli ispiratori ideologici dell’odierna sinistra con ambizioni di governo, hanno, con accenti diversi, in fondo detto la stessa cosa: che la destra non accetta il dissenso e che perciò è una destra autoritaria.

Premesso che chi scrive è animato da uno spirito laico tanto dal punto di vista religioso quanto dal punto di vista politico, alcuni fatti balzano agli occhi. Il primo fatto attiene al contesto. Un contesto non politico, il Salone del libro di Torino, dove Eugenia Roccella interveniva non in quanto ministro della Famiglia in carica, ma in quanto autore di un libro. Il libro, edito da Rubettino si intitola “Una famiglia radicale”. È un libro su suo padre, Franco Roccella, e sulla storia umana e politica del Partito radicale da lui fondato assieme a Marco Pannella. Come spesso accade ai figli, vige anche in questo caso il sospetto che abbiano tradito le idee dei padri. Ma ciò attiene, semmai, alla dimensione familiare e nulla toglie al fatto che contestare Eugenia Roccella al Salone di Torino e in occasione della presentazione di un libro sui radicali sia in effetti un fuor d’opera. Il segno che la polemica politica è degradata dalle idee alla persona. Il che non è mai, oggettivamente parlando, un buon segno.

Comunque sia, la contestazione c’è stata, e la sinistra politica e culturale italiana di cui sopra ne ha tratto spunto per dire che Eugenia Roccella era lì per provocare (Saviano) e, che anziché lasciare la sala col chiaro fine di erigersi a martire, avrebbe dovuto accettare il confronto (Schlein, Orgini e Murgia). È il segno che chi, e, tra giornalisti, intellettuali e politici, ve ne sono stati anche molti altri oltre ai quattro citati, ha formulato tale giudizio l’ha fatto prescindendo radicalmente dai fatti.

A scorrere i numerosi video dell’evento, si apprende infatti che Eugenia Roccella ha dato la parola ai propri contestatori e dopo avergli lasciato la ribalta per esprimere le proprie opinioni li ha invitati ad un pubblico confronto. È stato allora che la contestazione, il che, come è stato correttamente osservato da tutti gli interventi “di sinistra”, fa parte di quelle sgradevolezze che chi ambisce a governare deve accettare, si è trasformata nei fatti in violenza. Una cosa, in effetti, è interrompere un evento pubblico per poter mettere in luce le proprie tesi. Altra cosa è tambureggiare senza sosta le proprie tesi fino ad impedire che l’evento pubblico si svolga. È questo che è accaduto.

Intendiamoci, non è una tragedia. È però un segno. O, per meglio dire, è un sintomo. Il sintomo di una malattia che, non certo da oggi, ma in fondo da sempre, affligge, sia detto per verità storica e senza intenti meloniani, la nostra nazione. Ovvero la tendenza ad inquadrare le opinioni opposte alle proprie non sul piano politico ma sul piano etico. Delegittimandole, di conseguenza, in radice.

Cerchiamo di capirci con un esempio. A differenza di Eugenia Roccella, chi scrive è favorevole all’aborto, ma riconosce che si possa essere contrari per ragioni di principio senza per questo essere dei mostri o dei “fascisti”. Non è questo l’approccio mainstream. Sì che, per quanto sia chiaro a ciascuno che questo governo non sovvertirà mai la volontà popolare espressa nel referendum del 1981 promosso dai radicali, ci si comporta come se così fosse. O, peggio, come se nessun dissenso culturale rispetto al diritto di abortire fosse legittimo.

Non è un approccio “politico”. Men che meno è un approccio liberale o “laico”. È un approccio etico. Un approccio forse naturale nell’Italia che si è lasciata per oltre cinquant’anni rappresentare da due chiese: la Dc e il Pci.

È questa, evidentemente, la nostra natura. È questa la nostra condanna.

Huffington Post

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