Scuola di Liberalismo 2019 – Messina: lezione di Eugenio Guccione sul tema “Dal Liberalismo di Rosmini al popolarismo di Sturzo”

Scuola di Liberalismo 2019 – Messina: lezione di Eugenio Guccione sul tema “Dal Liberalismo di Rosmini al popolarismo di Sturzo”

La tredicesima lezione alla «Scuola di liberalismo di Messina 2019» sul tema “Dal liberalismo di Rosmini al popolarismo di Sturzo” è stata tenuta il 23 maggio, presso l’Aulario dell’Ateneo, da Eugenio Guccione, già ordinario di «Storia delle dottrine politiche» all’Università di Palermo e, attualmente, “docente invitato” di «Filosofia politica» alla Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia. Un’attenta esplorazione ci consente, secondo Guccione, di rilevare che, in un periodo di condanna e di emarginazione delle teorie rosminiane, Sturzo ne fu in buona parte attratto e convinto. Egli non ebbe scrupoli per il fatto che queste teorie, nei loro contenuti fondamentali, erano state messe all’Indice dal Sant’Uffizio a seguito di un’affrettata, superficiale valutazione dei gesuiti. E non si limitò ad approfondirle, ma, affrontando il rischio di un provvedimento disciplinare, svolse un corso di logica e di gnoseologia rosminiana per i suoi allievi  del seminario di Caltagirone.

Nella teoria rosminiana della conoscenza, imperniata sull’idea dell’essere, che è anche idea del bene e lume della ragione, Sturzo avrebbe trovato il «presupposto per intendere l’uomo come attività, cioè come razionalità-moralità che si esprime nell’operare pratico»[1]. Tutto, in altri termini, concorrerebbe a fare del giovane sacerdote siciliano – portato allora più alla filosofia che alla politica –,  un epigono clandestino di Antonio Rosmini. Sturzo aveva piena coscienza che, nel fermento delle idee liberali e delle iniziative costituzionalistiche del secolo XIX, stessero le radici e gli stimoli del successivo sviluppo ideologico che presto favorì la nascita di un concetto cristiano di democrazia, fortemente in contrasto con quello rivoluzionario francese di matrice rousseauiana, nei confronti del quale egli nutriva molta diffidenza.

A fronte della denominazione «democrazia moderna», un  contenitore tanto eterogeneo quanto complesso e vuoto, Sturzo è consapevole di prodigarsi per la maturazione di taluni fondamentali aspetti del liberalismo sino a farli sfociare nel popolarismo, un termine da lui coniato ed entrato nel vocabolario politico a indicare una nuova teoria dello Stato e la corrente di pensiero che costituisce la base dottrinale del Partito Popolare Italiano fondato nel gennaio del 1919. Il popolarismo, in sfida allo statalismo e al socialismo materialista, rimarca la centralità della persona e della sovranità popolare, una contenuta presenza dello Stato in economia, una partecipazione interclassista alla gestione della cosa pubblica e l’aconfessionalità della politica. E per trasformare lo Stato nella «più sincera espressione del volere popolare», segue nel documento una serie di richieste, tra le quali la riforma dell’Istituto Parlamentare sulla base della rappresentanza proporzionale, il voto delle donne, un senato elettivo come espressione degli organismi nazionali, accademici, amministrativi e sindacali, la libertà di insegnamento in ogni ordine e grado, la libertà e l’indipendenza della Chiesa, l’autonomia comunale, la riforma degli Enti Provinciali e il più largo decentramento nelle unità regionali, la formazione e la tutela della piccola proprietà.

L’Appello ai liberi e forti è, certamente, la magna charta del popolarismo sturziano. Ne rappresenta l’atto di nascita.  Ma deve essere anche considerato come il momento e il documento d’approdo del liberalismo di matrice rosminiana alla democrazia e, per l’esattezza, a un progetto di democrazia in senso cristiano.  Si badi: non un progetto cristiano di democrazia, che, in quanto tale, sarebbe totalizzante, fondamentalista, bensì, come era solito insistere Sturzo, «un progetto di democrazia in senso cristiano»,  ossia rispettoso dei valori del cristianesimo, fatti propri dalla civiltà occidentale, aperto al dialogo e ai contributi di aderenti ad altre confessioni religiose.

L’Appello, sintesi di tradizione e di innovazione, esorta ad «attingere dall’anima popolare gli elementi di conservazione e di progresso»: da un lato, quindi, ripropone i concetti-cardine del liberalismo, quali il diritto alla vita,  il rispetto della persona, un marcato principio di libertà politica ed economica, il diritto alla proprietà privata, dall’altro lato, in forza e in espansione di tali concetti liberali,   introduce la sovranità popolare quale effettiva essenza di una vera democrazia, indica l’impellente necessità della «elevazione delle classi lavoratrici» attraverso «urgenti riforme nel campo della previdenza e della assistenza sociale, nella legislazione del lavoro, nella formazione e tutela della piccola proprietà».

Esiste, in particolare, tra i due sacerdoti un concetto in comune che da solo, per i suoi possibili sviluppi in senso democratico, lascia comprendere quanto il popolare Sturzo abbia preso e appreso dal liberale Rosmini. Questi, nella sua opera La filosofia del diritto (Milano, Pogliani, 1841-1843)[2], aveva sostenuto che «”la persona dell’uomo è il diritto umano sussistente”: quindi anche l’essenza del diritto». Ciò vuol dire che il diritto ha il suo fondamento nella persona, nel senso che la persona, più che destinataria del diritto, è essa stessa il diritto. Il diritto, in altri termini, non scaturisce dal legislatore, non proviene dalla volontà sovrana dello Stato, non ha un fondamento politico, bensì «esso è l’attività della persona, allorché è rivolta ad altre persone per uno scopo considerato lecito dalla morale»[3]. Lo Stato ha solo il compito di stabilire i modi per la regolamentazione del diritto. Da tutto ciò scaturisce il primato della morale sulla politica, il primato dell’uomo sul cittadino e sulla società.

Per Rosmini la garanzia fondamentale di dignità e di libertà della persona è data dalla proprietà, “una sfera attorno alla persona, della quale la persona è il centro”. La proprietà – ovviamente la proprietà legittima, non la proprietà acquisita con il furto o la frode – è un principio regolativo della convivenza civile. Ciascuno, insomma, sui propri beni è sovrano. E   la sua libertà è massima, finché non confligge con le proprietà altrui. Lo Stato per Rosmini è una realtà artificiale, che deve preservare la libertà dei singoli e dei corpi intermedi e il cui potere dev’essere fortemente circoscritto. Sturzo,  in piena sintonia con Rosmini, in un articolo titolato Popolarismo e pubblicato  a Parigi il 15 agosto 1929 su “Politique”, scrive che «il popolarismo nega lo Stato fonte di diritto, in quanto la fonte di diritto è la personalità umana nella sua relatività sociale»[4]. E, subito dopo, aggiunge: «e lo Stato non è che una delle forme di società umana, la forma di società politica limitata per un territorio determinato»[5].

Confluente nell’idea di popolarismo e nelle analisi sociologiche di Sturzo appare la teoria rosminiana sulle forme di socialità, consistenti nella società coniugale (famiglia), in quella civile (Stato) e in quella teocratica (Chiesa). Tale teoria è rielaborata con impostazione originale dal sacerdote siciliano nel volume La società, sua natura e leggi (Bologna, Zanichelli, 1960). Il filosofo roveretano, più di un secolo prima, ne aveva fatta ampia trattazione nella citata Filosofia del diritto e, soprattutto, nell’opera La società e il suo fine (Milano, Pogliani, 1839), titolo molto affine, come si nota, a quello dell’opera sturziana [Società, sua natura e leggi]. Altro punto di sicura convergenza tra i due pensatori sarebbe il federalismo sollecitato da Rosmini ne La Costituzione secondo la giustizia sociale (1848) e nell’allegato saggio Sull’unità d’Italia[6] allo scopo di scongiurare la formazione di uno Stato accentratore. E, in seguito, riproposto da Sturzo, sotto forma di federalizzazione delle regioni o di accentuata autonomia degli Enti Locali, come correttivo al centralizzato nuovo regime italiano. Esigenza questa, come si è visto, ribadita anche nell’Appello ai liberi e forti  e nel Programma del Partito Popolare.

La Costituzione secondo la giustizia sociale è la summa del pensiero liberale di Rosmini. Ma già vi si preannuncia la stagione del popolarismo.  È lo stesso autore  a precisare, in una nota, che questo suo «progetto di Costituzione può ugualmente applicarsi ad una forma repubblicana qualora si cangi il Re in un Presidente: le leggi proprie della società civile su cui egli si fonda sono le medesime nell’uno e nell’altro caso»[7]. A parte la preferenza di Rosmini  per il sistema elettorale censitario e talune giustificate riserve nei confronti dei partiti, dei quali, più che l’esistenza, condanna la degenerazione, egli, sin da giovane, appena venticinquenne, lasciava intravedere qualche spiraglio in senso democratico nella Politica prima (1822-1827). Il progetto di Stato, elaborato in quest’opera e destinato a prendere maggiore consistenza nella Filosofia della politica (1839),  nella Filosofia del diritto (1841-1844)  e, appunto, ne La Costituzione secondo la giustizia sociale (1848), ha tutte le caratteristiche per essere classificato come liberale e accostato al modello inglese.

Proprio nella Politica prima si riconosce la libertà dei cittadini, tanto che si raccomanda al Principe di riservare per sé appena due gradi di potere e di concedere al popolo ben otto gradi di libertà; il senso del limite è consigliato non solo ai cittadini, ma anche e soprattutto ai governanti, il cui potere non deve essere mai «assoluto e arbitrario»;  il rapporto tra chi comanda e chi ubbidisce è disciplinato da norme fondamentali di tipo costituzionale; è segnalata l’opportunità di un sistema censitario corretto con l’apertura dell’elettorato passivo ai nullatenenti purché cittadini onesti e capaci;  si tiene anche  in conto il suffragio universale per l’elezione dei giudici del Tribunale Politico, che, sul modello della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America,  andrebbe  istituito a salvaguardia della Costituzione e a protezione dei diritti della minoranza. Tali diritti nei regimi liberaldemocratici, come alcuni anni prima era stato dimostrato da Tocqueville[8], vengono molto spesso calpestati dalla tirannide  della maggioranza[9].

Da queste teorie politiche di sicuro marchio liberale scaturirà un processo di maturazione che, comprendendo apporti di varia provenienza dottrinale e geografica, condurrà, attraverso un percorso quasi obbligato, a un concreto concetto di democrazia e, specificatamente nell’area del movimento sociale cattolico, alla nascita del popolarismo. Nel 1924, a seguito delle elezioni politiche regolate dalla Legge Acerbo, l’impatto con il regime fascista fu fatale per Luigi Sturzo e per la sua creatura. Essa, il PPI, dopo un ventennio, rinacque da sotto le ceneri della Seconda Guerra Mondiale con le vesti della Democrazia Cristiana, non del tutto legittimata da Sturzo quale eredità del popolarismo. Essa, tuttavia, almeno negli impegni programmatici, ne custodì i valori e i propositi, tanto da realizzare alleanze con autorevoli personalità del liberalismo politico contemporaneo, come Luigi Einaudi, Carlo Sforza, Giovanni Malagodi, Gaetano Martino, Valerio Zanone. Oggi, nel fermento ideologico per un rinnovamento della politica italiana, si parla anche di neopopolarismo, postulante l’opportunità di un ritorno ai contenuti sturziani aggiornati dalla più recente dottrina sociale della Chiesa. Buon segno a conferma dell’interesse per un antico progetto liberal-popolare.

 

[1] Cfr. M. d’Addio, Sturzo e Rosmini,  in AA. VV., Universalità e cultura nel pensiero di Luigi Sturzo, Atti del Convegno Internazionale di studio (Roma, Istituto Luigi Stuzo, 28-30 ottobre 1999), Soveria Mannelli, Rubbettino, 2001, p. 74. Il saggio, a firma di un attento e autorevole studioso di Sturzo e di Rosmini è illuminante per la conoscenza dei due pensatori e per un loro confronto.
[2] Ora: A. Rosmini, Filosofia del diritto, vol. 1, a cura di Rinaldo Orecchia, Padova, Cedam, 1967, n. 49, p. 191.
[3] M. d’Addio, Religione e libertà: Lamennais, Rosmini, in Storia delle dottrine politiche, vol. 2, Genova, Ecig, 1992, p. 264.
[4] Apparso anche su “Il Pungolo”, Paris, 1-15 giugno 1929. E ora in L. Sturzo, Scritti storico-politici 1926-1949, Roma, 1984, p. 36.  Nella pagina precedente Sturzo scrive anche d’essere stato lui ad avere usato per la prima volta la parola popolarismo.
[5] Ibidem.
[6] Per il testo cfr. A. Rosmini, La Costituzione secondo la giustizia sociale, in Scritti politici, con introduzione di Mario d’Addio, a cura di Umberto Muratore, Edizioni Rosminiane, Stresa, 1997. Per un’esposizione critica e i riferimenti storici cfr. M. d’ Addio, Libertà e appagamento, politica e dinamica sociale in Rosmini, cit., pp. 187-219 e bibliografia ivi riportata.
[7] Cfr. A. Rosmini, La Costituzione secondo la giustizia sociale, in Scritti politici, cit., pp. 43-249. per la nota citata v. p. 52.
[8] Tocqueville, La democrazia in America, in Scritti politici, vol. 2, cit., pp. 292-308.
[9] Cfr. A. Rosmini, Politica prima. Appendice: Frammenti della Filosofia della politica (1826-1827), a cura e con introduzione di Mario d’Addio, Istituto di Studi Filosofici – Centro Internazionale di Studi Rosminiani-Stresa, Roma, Città Nuova Editrice, 2003.

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