Sciopero fiscale

Sciopero fiscale

Nel corso del 2020 la pressione fiscale, in rapporto alla ricchezza prodotta nel corso dell’anno, al prodotto interno lordo, è cresciuta di 0.5 punti. Siamo diventati quarti sul podio, meglio sarebbe dire patibolo, dell’Ocse. Quarti fra i Paesi sviluppati. A precederci rimangono la Danimarca, la Francia e il Belgio. Si tratta di un effetto indotto dalla recessione, ovvero dalla diminuzione del prodotto, ma eravamo ottimamente piazzati anche prima.

Quel gettito alimenta tanta spesa utile, a cominciare da quella sanitaria. Ma ne alimenta anche di corrente che potrebbe e dovrebbe essere ridotta. Almeno in prospettiva. Anche perché se non la si riduce, continuando a generare debito, la pressione fiscale non potrà scendere mai, checché ne dicano i tanti che prendono i voti assicurando di volerla far scendere e poi lasciano il governo senza esserci riusciti. Inoltre: essere quarti non significa che altri vivano un inferno fiscale peggiore del nostro, perché al prelievo effettivo si sommano, da noi, le enormi difficoltà e costi che si subiscono per essere fiscalmente in regola, quindi onesti, e i costi indotti da disfunzioni che la spesa pubblica alimenta, come, per esempio, molte municipalizzate. Se si sommano il prelievo fiscale e il debito generato, che è un annuncio di prelievo futuro, temo che il primo posto non ce lo toglierebbe nessuno.

Ciò va tenuto presente quando si sente parlare di sciopero generale, ovvero di un blocco della produzione e dei servizi, promosso da due sindacati (e la vera notizia è la rottura del fronte sindacale), allo scopo presunto di difendere gli interessi dei lavoratori (che il sindacato rappresenta sempre meno, avendo nei pensionati la maggioranza dei propri iscritti). Va tenuto presente perché il gruppo di cittadini che più subiscono il costo delle disfunzioni e delle spese inutili, bonus terme compreso, è incarnato dai contribuenti onesti. Per forza o per vocazione. Dai contribuenti che finanziano la spesa diretta a tutti gli altri. E, benché non pochi, sono la minoranza, sia dei cittadini che dei contribuenti. Sono loro (siamo noi) che dovrebbero manifestare.

Lo sciopero fiscale, che avrebbe ragioni ben più solide di quelle, evanescenti, dello sciopero generale sindacale, non dovrebbe consistere nel non pagare, ma nel protestare contro il fatto d’essere i soli a pagare. Lo sciopero fiscale non dovrebbe chiedere di non finanziare la spesa pubblica vitale, ma di strozzare quella improduttiva e riproduttiva di inferno burocraticoassistenziale. Lo sciopero fiscale non dovrebbe strizzare l’occhio all’evasione fiscale, ma reclamare che tutti paghino e non essere i soli ad essere strizzati. Il guaio dei cittadini pagatori di tasse è di non essere rappresentati, perché le forze politiche hanno abbracciato la spesa come strumento per acquisire e concimare il consenso.

Chi paga è contrario a chi evade non (solo) per una questione etica, ma perché se tutti pagassero il dovuto ci sarebbe presto una rivolta fiscale, s’innescherebbe un circolo virtuoso che spingerebbe a diffidare di chi promette nuova spesa, visto che sarà anche nuovo prelievo. La regolarità fiscale diffusa aiuterebbe a diffondere una più che sana sensibilità avverso le spese sopprimibili o all’evidenza inutili (se non a chi incassa). È da questo che può arrivare un vero cambiamento politico, perché se lo si attende dal combinarsi e scombinarsi dei raggruppamenti politici la sola cosa cui si può sperare di assistere è quel che già si vede: un’orgia di trasformismo.

Un sano sciopero fiscale, così inteso, non sarebbe solo lo sfilare stanco di bandiere senza più storia e tamburi senza più suono, ma solo rumore, sarebbe il ricordare a tutti che oltre ai diritti esistono anche i doveri e che una società cresce nei diritti solo crescendo nei doveri adempiuti. Forse non lo vedremo, ma sarebbe meglio della farsa cui assisteremo.

La Ragione

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