Russia, spettro recessione. Se ad ammetterlo è il Cremlino, la crisi è nera

Russia, spettro recessione. Se ad ammetterlo è il Cremlino, la crisi è nera

In un regime in cui l’informazione è rigorosamente centralizzata e vagliata, se a riportare dati allarmanti sono persino i membri del Governo è indizio di un quadro ben più tetro delle aspettative. La crisi dell’economia di guerra russa, infatti, si acuisce al punto che non è più opportuno, per gli uomini di Putin, mentire platealmente davanti all’evidenza di un Paese sempre più scosso e impoverito. Solo a inizio maggio, su queste pagine, analizzavamo la crescita esponenziale del deficit di Mosca, imputabile al crollo dei proventi erariali da idrocarburi, e la contestuale stagnazione dell’economia. A distanza di un mese e mezzo, la situazione appare così compromessa da indurre lo stesso Ministro dello sviluppo economico Maxim Reshetnikov ad ammettere candidamente e per la prima volta che il Paese è sull’orlo della recessione.

Una confessione, considerati i toni abitualmente trionfalistici della propaganda del Cremlino, che lascia intendere una crisi ben più profonda e conclamata di quanto traspaia e che rientra in un graduale ma eloquente cambio di narrazione di un esecutivo in evidente imbarazzo. D’altronde, è stato lo stesso Putin ad ammettere, non più tardi di due settimane fa, che in Russia scarseggiano persino le patate, alimento base della dieta nazionale e soggetto a severi rincari del 133% su base annua. In uno scenario di penuria di generi alimentari, marcato da un’inflazione stabilmente superiore al 10% e quindi tecnicamente definibile come galoppante, il Ministro Reshetnikov ha aperto alla possibilità concreta di decretare ufficialmente la recessione con la revisione delle stime di crescita attesa in agosto.

Principale imputato la Banca di Russia che, a detta del politico, avrebbe raffreddato l’economia oltre il necessario, insistendo nel mantenimento di tassi d’interesse estremamente elevati, dallo scorso ottobre stabili intorno a un roboante 20% e considerati lesivi degli investimenti. Una lettura strumentale, questa, utile a mistificare una realtà in cui, con tassi più contenuti, l’indice dei prezzi toccherebbe punte insostenibili per i già provati consumatori, costretti a sopportare rincari persino del 100% in pochi mesi sugli ortaggi. Alle considerazioni del Ministro fanno il paio quelle di Alexander Vedyakhin, vicepresidente di Sberbank, principale gruppo bancario del Paese, che ai microfoni di Reuters ha confermato lo spettro della decrescita, evitabile, a sua detta, solo tramite un taglio drastico dei tassi di interesse, di almeno 5 punti percentuali; un’eventualità alquanto implausibile e certamente non auspicabile, dati i sicuri effetti inflazionistici, per i cittadini che già vedono fortemente erosi i propri risparmi e il potere d’acquisto, anche su beni di prima necessità.

Nel frattempo, con buona pace del suddetto scaricabarile (di petrolio), prosegue il crollo dei proventi fiscali da combustibili fossili, con un calo annuo stimato da Mosca stessa al 24% e su cui Putin non può più fare affidamento per sostenere la reale causa del dissesto: le spese militari. Giunte al rapporto record del 7,1% del Pil, del 19% della spesa pubblica e del 43% del budget 2025, che rappresenta il massimo mai toccato dai tempi dell’Urss, vengono ormai ampiamente finanziate con ricorso all’indebitamento. Così, con l’esborso per lo sforzo bellico in aumento del 38% nel 2024 sul 2023 e con le stime del Cremlino sul deficit triplicate rispetto a inizio anno, Mosca si vede sempre più costretta ad attingere alle riserve del proprio Fondo sovrano. La sua liquidità, infatti, nel solo mese di maggio, si è contratta di 6 miliardi di euro, pari al 14%, registrando un -68% dall’inizio delle operazioni militari in Ucraina. Parafrasando Ennio Flaiano, insomma, la situazione in Russia è grave, e anche seria.

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