Parità di genere, che cosa esclude le donne

Parità di genere, che cosa esclude le donne

Se ci chiediamo quante e quali, negli ultimi 50 anni, siano state capaci di diventare leader politici di peso nei principali Paesi occidentali scopriamo che sono solo sette. E c’è un tratto che le accomuna: vengono tutte da destra.

Che, in tantissimi campi, le donne siano numerose ma le posizioni apicali siano tuttora occupate prevalentemente da uomini è verissimo. È vero nell’università, ad esempio, dove solo 7 rettori su 84 sono donne. E pure in politica, almeno in Italia: non abbiamo mai eletto un presidente della Repubblica donna, né un presidente del Consiglio donna. Perciò non stupisce che, periodicamente, circolino appelli più o meno ben argomentati (di solito pessimamente argomentati) per correggere questa stortura.

Da che cosa dipende la sotto-rappresentazione delle donne? Dalla sopravvivenza del patriarcato, rispondono non di rado le paladine della causa femminile. Può darsi, anche se – come sociologo – non posso non osservare che è una pseudo-spiegazione, che si limita a dare un nome a un fenomeno di cui non è in grado di ricostruire i meccanismi.

Se vogliamo capirne di più, è meglio circoscrivere gli ambiti e delimitare il campo. Potremmo, ad esempio, ragionare sulla leadership politica, e chiederci come mai, nei grandi Paesi occidentali, negli ultimi 50 anni le donne hanno contato così poco. Ebbene, se questa è la domanda, è difficile sfuggire a un paio di osservazioni.

La prima è che l’accesso delle donne al potere politico è stato scarso fino al 2018, ma a partire dalla metà del 2019 la vera domanda è un’altra: come hanno fatto le donne, nel giro di 3 anni, a occupare praticamente tutte le posizioni apicali del potere politico-economico in Europa, sbaragliando i concorrenti maschi?

Luglio 2019: Christine Lagarde viene designata a succedere a Mario Draghi al vertice della Bce; nello stesso mese, Ursula von der Leyen viene eletta presidente della Commissione europea. Ottobre 2019: Kristalina Georgieva, economista e politica bulgara, viene nominata direttrice del Fmi. Gennaio 2022: in seguito alla scomparsa di David Sassoli, la politica maltese Roberta Metsola viene eletta presidente del Parlamento europeo.

A oggi, nelle grandi istituzioni politico-finanziarie, il potere maschile pare sopravvivere solo al di là dell’Atlantico, dove Donald Trump ha imposto David Malpass a capo della Banca mondiale e Jerome Powell alla Fed (dove peraltro, fino al 2018, comandava una donna, Janet Yellen).

Ma c’è una seconda osservazione, ancora più interessante per gli studiosi di discriminazione e parità di genere. Se ci chiediamo quante e quali siano le donne che, negli ultimi 50 anni, siano state capaci di diventare leader politici di peso nei principali Paesi occidentali scopriamo che sono solo 7, e che c’è un unico tratto che le accomuna. Le elenco per Paese: Margaret Thatcher e Theresa May nel Regno Unito; Marine e Marion Le Pen in Francia; Angela Merkel e Ursula von der Leyen in Germania; Giorgia Meloni in Italia.

Che cosa le accomuna? Semplice: vengono tutte da destra, come da destra, peraltro, vengono le altre tre donne che negli ultimissimi anni hanno raggiunto posizioni apicali nella Bce, nel Fmi e al Parlamento europeo (sempre da destra veniva Simone Veil, prima presidente del Parlamento europeo).

Dunque, cari amici studiosi di discriminazione ai danni delle donne, la domanda più interessante non è perché così spesso le donne non ce la fanno ma, semmai, perché per farcela devono essere di destra. Una risposta possibile è che, nei meccanismi che regolano le carriere politiche, a sinistra è ancora dominante la cooptazione, mentre a destra c’è anche un po’ di meritocrazia.

Le donne di destra non paiono avere remore a sfidare in campo aperto i rivali maschi (lo ha appena fatto Valérie Pécresse in Francia, che ha battuto il rivale maschio Eric Ciotti), mentre quelle di sinistra troppo spesso paiono attendere la chiamata del capo, umili e ossequiose come le donne di un tempo.

Non è forse un caso che, al di qua come al di là dell’Atlantico, le uniche donne di sinistra arrivate a sfiorare ruoli di comando nazionali – Ségolene Royal e Hillary Clinton – siano state in partita anche in virtù del loro essere “mogli di”, rispettivamente di un segretario di lungo corso del Partito socialista francese e di un ex presidente degli Stati Uniti.

Quanto al nostro Paese, come non notare che il Pd, a parole paladino della parità uomo-donna, non ha indicato alcuna donna come ministro del governo Draghi? O come non osservare che, per avere due donne capogruppo in Senato e alla Camera, si sia dovuto scomodare il segretario del partito, che le ha imposte dall’alto ai suoi deputati e senatori? Insomma, visto come sono andate le cose, è difficile sfuggire al dubbio: non sarà che l’esclusione delle donne dal potere è, innanzitutto e non solo in Italia, un problema della cultura progressista?

La Repubblica

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