Occasione

Occasione

Proprio non avremmo voluto trovarci in questa situazione. Ma visto che un criminale l’ha creata, dobbiamo affrontarla. Sconfiggere il disegno di Putin è il primo passo, ma, assieme ai dolori e ai costi che questo comporta, c’è anche un’occasione da cogliere. Partendo da tre sfide.

1. L’attacco russo non è all’Ucraina, ma all’ordine globale. La reazione univoca dell’Occidente e l’invocazione dei neutrali ad entrare nella Nato, sono dovute alla portata della posta in gioco. Non c’è una e una sola ragione da parte russa, a meno che non si voglia considerare un diritto disporre di un impero e spaccare nuovamente in due il mondo. Accettare la rottura armata di quell’ordine non serve a riconquistare la pace, ma a garantirsi guerre continue, riconsacrando la prima metà di questo secolo alle carneficine della prima metà di quello passato.

2. Il tema della difesa è delicato. Il cammino verso la difesa integrata europea è avviato. Putin lo ha accelerato. Ma la difesa europea necessita di alcuni capisaldi e abbisogna di non perdere l’ancoraggio Nato. Non ci serve un’Unione europea polo militare capace di giocare una partita autonoma fra le altre potenze militari, ci serve una difesa autosufficiente che sia parte della Nato. Le due cose devono camminare assieme. Non sempre si hanno gli stessi interessi, sulle due sponde dell’Oceano Atlantico, ma, se è per questo, neanche all’interno della famiglia europea, ma quando si parla dell’ordine internazionale abbiamo uno e un solo interesse, da cui dipende la sicurezza e la prosperità.

Integrare la difesa, in Ue, significa anche integrare i sistemi produttivi che ne sono al servizio, quindi toccare interessi industriali vivi. Procedendo con chiarezza e trasparenza abbiamo tutti da guadagnarci. Tacerlo o mantenere nell’ombra questa necessità innescherebbe divergenze destinate a procurare danni notevoli.

Infine: c’è un solo Paese Ue che è anche una potenza nucleare: la Francia. Difesa comune significa integrare non solo quella condizione, ma condividerne i costi. Bene essere schietti fin da subito, altrimenti si lascerebbe spazio a demagogie di opposto colore e convergente rovinosità.

3. Ciò ci porta al terzo punto, relativo alla guida politica e alla sua stabilità. Le nostre sono democrazie, che intendono restare tali. Nelle democrazie non esistono politiche secolari (neanche nelle dittature, che quando coltivano di queste illusioni poi si sbriciolano nell’orrore e nel disprezzo), ma una continua ricerca del consenso attorno alle politiche che si considerano più adeguate. La contabilità di quel consenso ha una scadenza periodica, nelle elezioni.

Quel che non possiamo permetterci è che ogni anno, se non ogni mese, sia consacrato alle elezioni. E siccome siamo 27 democrazie, ciascuna con regole e scadenze diverse, è facile che accada. Si guardi la comprensibile attesa per il risultato elettorale francese. Ma non è possibile che, ogni volta, un elettorato nazionale sia ritenuto decisivo per una sorte continentale. Né sarebbe ragionevole distinguere il valore e il peso di quegli appuntamenti, talché il voto del Paese X sarebbe rilevante, mentre quello in casa Y invece no.

In diversi, nei vari Paesi, reclamano un’Europa “politica”, assumendo ne esista solo una economica. Sbagliano ed hanno ragione. Sbagliano, perché le scelte del mercato unico sono politiche, mica amministrative, quelle della moneta unica sono politiche, mica contabili.

E ciascuna di quelle scelte deriva da procedure e coinvolgimenti con legittimazione democratica, perché tale è quella dei governi, quella del Parlamento e anche quella della Commissione, nominata dai primi e insediata dal secondo. Quindi sbagliano. Ma hanno ragione, perché una politica comune ha bisogno di soggetti e scadenze comuni.

Si dovrebbe cominciare dal Parlamento europeo: basta partiti dialettali, le liste siano europee, io elettore devo poter votare il migliore, non solo fra i connazionali. Dopo l’Unità a fare l’Italia sono state formazioni culturali e politiche nazionali. Quelle localistiche sono folklore.

Non credo che i nostri Stati nazionali saranno mai superati, né lo spero. In essi c’è la nostra storia, come c’è nei comuni italiani. Ma quel che è politica comune deve avere comune base democratica. La difesa lo esige. Questa è l’occasione da non perdere.

La Ragione

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