Leggi speciali e diritto

Leggi speciali e diritto

Le leggi speciali servono ad affrontare crimini e criminali speciali. Sono utili e per nulla in contrasto con le libertà e le garanzie democratiche. C’è una trappola, però, nella quale il legislatore italiano è ripetutamente caduto: per non assumersi la responsabilità di scelte necessarie, ma gravose, formula le leggi speciali sotto forma di delega alla magistratura. Dopo di che è inutile lamentarsi per il dilagare di quello che non dovrebbe essere un potere, ma lo diviene esercitando la discrezionalità.

Quando si parla di leggi speciali, quindi, si dovrebbe rivolgersi più alle forze dell’ordine che alla giustizia. In tal senso fu buona le legge Reale (che impediva determinati comportamenti durante le manifestazioni pubbliche, consentendo ai tutori dell’ordine d’intervenire). Meno la creazione di reati generici, come quello di “banda armata”, che spostava il fronte dalla questura alla procura. Da lì poi si passò alla mafia, consentendo l’obbrobrio giurisprudenziale del concorso esterno in associazione mafiosa. A quel punto si era pronti per lo straripamento successivo. Corruttivo della giustizia, con la colleganza fra procuratori e giudici che ha generato tutti i possibili vizi.
Processare, assolvendo o condannando, è tipico dell’ordine giudiziario. Fermare un cittadino e privarlo della libertà, in assenza della condanna, è un potere esecutivo, governativo. Se lo si delega si abdica, mettendo nelle stesse mani la repressione (utilissima) e la garanzia del cittadino innanzi al potere dello Stato. Questo sì che nuoce, alla salute della democrazia e dello Stato di diritto.

Il terrorismo islamico è un fenomeno speciale, perché ha forza e potere devastanti e perché ha una sicura fonte religiosa e una rete logistica internazionale, ma non è ragionevole combatterlo rivolgendosi contro i mussulmani, perché sarebbe ingiusto in punto di diritto (sono siciliano: troverei curioso mi dessero, sol per questo, del mafioso) e autodemolitorio in termini di civiltà, giacché si aderirebbe alla loro guerra di religione. Non si può, però, distinguere solo quando si arriva nelle aule di giustizia, si deve attrezzarsi ben prima. Fuori dai nostri confini funzionano i servizi segreti. Sperando che la collaborazione europea e occidentale non sia solo un modo di dire. Dentro i confini non si deve avere paura d’invadere la privacy, si deve potere guardare e ascoltare ovunque. Il web è un luogo di indottrinamento e arruolamento, la piazza dove si reclutano falliti, impotenti e rincoglioniti da usarsi come stragisti: va pattugliato in modo serrato.

Qui viene al pettine un nodo italiano: fra noi ci spiamo alla grande e poi finisce tutto sui giornali. Per fermare questo scempio di diritto e diritti non si deve delegare il lavoro alle procure, ma alle questure, stabilendo libertà d’intercettazione e inutilizzabilità processuale. Si ascolta per trovare indizi e mettersi sulle tracce dei criminali, non per costruire processi da guardoni delatori. Le leggi speciali, in questo caso, ci riporterebbero alla normalità.
Trattandosi, per la gran parte, di immigrati, e dimostrandosi, ancora una volta, quanto sarebbe nocivo lo ius soli, ci possono essere premi e agevolazioni per chi aiuta a individuare pericoli e pericolosi. In termini di cittadinanza e regolarizzazioni. E’ positivo che autorità religiose mussulmane si attivino per isolare i fondamentalisti, ma è anche naturale, visto che i fondamentalisti ce l’hanno con loro. Sarebbe assai più utile se divenisse comune sentire fra i mussulmani qui residenti, come, in passato, a un certo punto (non dall’inizio, anzi) furono lavoratori e sindacati a considerare nemici i terroristi rossi. Processualmente, invece, si può aumentare il premio per chi collabora, sul solco della legge relativa ai collaboratori di giustizia. Ma facendola funzionare veramente: dici tutto e subito, altrimenti perdi i benefici.

In un mondo insicuro cresce la paura, che porta alla follia. È meritorio fermare la degenerazione, anche mettendo nel conto qualche invasività e qualche errore. Ma, almeno, impariamo dagli errori commessi in passato: la sicurezza spetta agli uomini in divisa, la giustizia a quelli in toga.

Davide Giacalone, Il Giornale del 31 luglio 2016

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