Arte e libertà. Il caso (inquietante) della Royal Academy of Arts

Arte e libertà. Il caso (inquietante) della Royal Academy of Arts

La libertà di espressione, di cui giustamente meniamo vanto, è uno dei pilastri su cui regge il nostro mondo. La novità dell’oggi è che essa è minacciata non solo dai regimi autoritari che in vario modo la comprimono, e nemmeno solo dalle tendenze dichiaratamente illiberali che sono da sempre presenti nel nostro mondo e tollerate almeno fino a che non passino ad incitare in maniera diretta all’odio.

Il vero fatto nuovo è che essa è minacciata ora in un modo più subdolo e pervasivo da un modo di pensare che cova da tempo all’interno stesso dei ceti più influenti del nostro mondo. L’ennesima notizia che giunge dalla Gran Bretagna sembra ancora una volta confermare quella che non a torto potremmo chiamare la “deriva politicamente corretta”, e quindi sostanzialmente illiberale, di certa cultura dominante.

Apprendiamo infatti dalla prima pagina de “La Repubblica” che la Royal Academy of Arts, un tempo prestigiosa istituzione, ha deciso di usare la regola della “parità di genere” nientemeno che in una mostra sul nudo rinascimentale: saranno esposti tanti nudi maschili quanti saranno i nudi femminili!

Ora, a parte l’ilarità che può suscitare il solo pensiero di curatori che, col bilancino, dovranno togliere o aggiungere opere puntando dritto l’occhio al sesso raffigurato, c’è qualcosa di molto serio e profondo che questo episodio richiama.

Prima di tutto, dicevo, la libertà di espressione: qui è in gioco quella del critico e curatore, che non può attenersi a regole estrinseche di tipo contenutistico come quella imposta da Tim Marlow, il direttore dell’Accademia; ma anche quella dello storico, che deve poter avere la libertà di ricostruire un’epoca o un tema nella sua “oggettività”.

In prospettiva, è poi anche in discussione la libertà di chiunque metterà mano in futuro a un’opera di ingegno: è lecito aspettarsi che qualcuno prima o poi voglia imporre quelle stesse regole agli artisti e agli storici. Riscrivere la storia è stato sempre un vizio o un desiderio dei regimi illiberali, tesi anche in questo modo a dimostrare il loro potere ai sudditi e agli altri popoli.

Qui la riscrittura verrebbe però fatta in nome di motivazioni di giustizia e moralità, mascherando subdolamente i fini di potere. Ponendosi come “verità” da tutti acclarabile, chiunque osasse solo opporsi sarebbe tacciato per ciò stesso di essere immondo o immorale: sarebbe cioè isolato e escluso dai consessi civili.

La censura, e l’autocensura preventiva, penetrerebbero negli stessi animi umani. In un sol colpo, si perderebbero due sacri principi fondativi del “canone occidentale”: l’autonomia della cultura e la distinzione delle sfere dell’attività umana. Che vita e arte non coincidano, e che anzi una vita dissoluta sia stata e possa essere in alcuni geni stimolo all’eccellenza artistica, è una di quelle “verità”, anche se non certo una regola, che è esemplificata nella figura dell’ “artista maledetto” che fa parte a pieno titolo del bagaglio culturale occidentale.

Sono andato troppo oltre nel ragionamento, prendendo sul serio un episodio dopo tutto secondario? Non credo. Episodi ascrivibili a questo modo di pensare sono sempre più reiterati, e chi solo conosce un po’ i paesi anglosassoni sa come una cera mentalità sia penetrata in maniera quasi egemone nei luoghi e nelle istituzioni preposti alla formazione e alla cultura.

Aggiungerei solo, last but not least, un’ulteriore riflessione. Che tipo di cultura può essere mai quella che ha un’immagine così banale e superficiale, unilineare, dei rapporti di potere che hanno corso nella storia e nella vita umana? Che pensa poi di ribaltarli mettendo finalmente “le cose a posto” ispirandosi ad un concetto astratto e meccanico di uguaglianza fra i generi o i sessi?

Corrado Ocone, huffingtonpost.it 5 settembre 2018

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