«Il pm non cerchi più le prove a favore dell’indagato…»

«Il pm non cerchi più le prove a favore dell’indagato…»

LA PROVOCAZIONE DEL CELEBRE AVVOCATO: «IO NON HO MAI VISTO UN PUBBLICO MINISTERO CHE TI INTERROMPE PER DIRTI CHE HA FATTO DELLE INDAGINI E INTEGRA LA TESI DIFENSIVA»

IL SOTTOSEGRETARIO OSTELLARI, HA DATO INCARICO AGLI UFFICI PREPOSTI PER TROVARE CASI DI PM CHE HANNO AGITO PER RICERCARE PROVE A SOSTEGNO DELL’INDAGATO

 

L’avvocato Giuseppe Benedetto è autore del libro “Non diamoci del tu. La separazione delle carriere” (ed. Rubbettino, pp. 134, euro 16).
Il presidente della “Fondazione Einaudi” pone all’attenzione dei lettori un tema di strettissima attualità, al centro dell’agenda politica, e da sempre oggetto di un’attenta analisi da parte di Carlo Nordio, che firma la prefazione, ben prima che l’ex magistrato diventasse ministro della Giustizia.

«Le idee sulla separazione delle carriere del ministro Nordio – dice al Dubbio Giuseppe Benedetto -, al di là di quanto scrive nel mio libro, sono nette e chiare da sempre. Una riforma di questo genere, però, passa più che dal governo dal Parlamento. Il timore del pantano parlamentare, comunque, è forte».

Avvocato Benedetto, il suo libro è un manifesto a sostegno della separazione delle carriere?
È una deduzione logica e cronologica. Cronologica perché facciamo una ricostruzione storica della vicenda. Partiamo dal Codice di procedura penale riformato nel 1989 e dalla susseguente riforma costituzionale di dieci anni dopo. Nel libro si sostiene che sono state due riforme che hanno introdotto cambiamenti profondi nel nostro sistema processuale e costituzionale, ma mancano dell’ultimo tassello: il giudice terzo.
Questo non è effettivamente terzo se non c’è una reale separazione della magistratura inquirente da quella giudicante. È un passaggio non di poco conto. La deduzione logica si basa sul fatto che abbiamo cercato di dimostrare alcune tesi non con argomenti da politique politicienne, ma con argomenti politici nel migliore senso del termine, perché la politica alta ci appartiene, anche come Fondazione Einaudi. Ma, soprattutto, con argomenti che evidenziano che il sistema odierno non regge e ci pone al di fuori dalle liberal-democrazie occidentali, sia quelle europee che quelle anglosassoni.

Il Parlamento si sta muovendo. Alla Camera sono state presentate delle proposte di legge per separare giudici e pm. Il Terzo Polo, la Lega e Forza Italia vanno nella stessa direzione. Al momento è assente su questo fronte Fratelli d’Italia. Il legislatore è più determinato rispetto al passato? Il traguardo della separazione è alla portata?
Non me la sento di dire che il traguardo è alla portata. Sarei troppo ottimista. Lo stesso presidente della Commissione Affari Costituzionali ha detto martedì che, se tutto va ve bene, ci vorrebbero almeno due anni e mezzo. In politica due anni e mezzo sono due vite e mezza. Il fatto, però, che ci si muova è positivo. Io ho paura del pantano parlamentare, ma ovviamente bisognerà passare dal Parlamento. Ci potrebbe però essere una alternativa.

A cosa si riferisce?
Il Parlamento potrebbe tenere conto di alcune indicazioni della Fondazione Einaudi: una rapida Assemblea Costituente per rivedere complessivamente la seconda parte della Costituzione. Potrebbe esserci in questo caso una riforma complessiva della giustizia. Siccome si è avviato l’iter parlamentare, mi hanno già chiesto in Parlamento di intervenire in audizione. Porterò le tesi della Fondazione Einaudi. Spero che anche Fratelli d’Italia e il Pd possano fare una riflessione sul tema. Dei quattro progetti presentati sulla separazione delle carriere tre sono esattamente la riproduzione di quello che la Fondazione Einaudi e l’Unione Camere penali hanno presentato sei anni fa, raccogliendo oltre 60mila firme. È un disegno di legge costituzionale, come ricorda l’avvocato Migliucci, nell’introduzione al mio libro. L’altra proposta di Forza Italia si discosta di poco da quanto suggeriamo. Spero che non si avviino varie forme di ostruzionismo da parte di potenti forze politiche e della società presenti nel nostro paese.

Pochi giorni fa lei ha sostenuto che il pm deve sostenere l’accusa nel nostro sistema processuale non ricercare le prove a favore dell’indagato.
Una proposta concreta, ben più di una provocazione, per mettere mano al nostro sistema giudiziario?
È una provocazione. Io non ho mai visto un pubblico ministero che ti interrompe per dirti che ha fatto delle indagini e integra la tesi difensiva. Se poi vogliamo passare dal momento empirico alla teoria, questo è un retaggio classico del sistema inquisitorio. Con il sistema accusatorio le cose vanno diversamente. Dunque, non giriamo attorno al problema. La mia provocazione è stata fatta alla luce del sole, alla
presenza del sottosegretario alla Giustizia Ostellari, il quale ha apprezzato la mia proposta, dando incarico agli uffici preposti per una serie di approfondimenti. A partire dai casi di pm che hanno agito per ricercare prove a sostegno dell’indagato.

Nel suo libro lei dimostra un amore profondo per la toga. Quanto è cambiata la professione forense negli ultimi vent’anni?
La professione forense è completamente cambiata già rispetto a pochi anni fa. Possiamo fare un semplice esempio, prendendo in considerazione la fase antecedente al Covid e quella successiva alla pandemia. Nel post Covid ho difficoltà a relazionarmi con i sistemi informatici che oggi reggono anche il penale. Ma questo è solo un aspetto. I giovani che si avviano alla professione sono favoriti su questo
fronte. È come quando la mia generazione ha iniziato la professione con il nuovo Codice di procedura penale. Ai colleghi che si affacciano alla professione consiglio di utilizzare il “metodo laico”, quello del dubbio. Leonardo Sciascia, lo scrivo pure nel mio libro, lo richiama chiaramente.

 

Il Dubbio

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