Il fondamento tragico della libertà. Benedetto Croce, un animo inquieto

Il fondamento tragico della libertà. Benedetto Croce, un animo inquieto

Settant’anni e non sentirli. Così potrebbe riassumersi il senso dell’anniversario della morte di Benedetto Croce che andò via il 20 novembre 1952 in una piovosa mattinata alle 10,45, mentre leggeva nel suo studio in compagnia della figlia Alda. Perché, dopo la stagione del marxismo e del neopositivismo, l’interesse per il pensiero del filosofo della libertà è vivo e testimoniato, in Italia e nel mondo, dalla letteratura critica, dalla pubblicazione delle sue opere con Adelphi, dalla Edizione Nazionale presso Bibliopolis, nonché dalla vitalità della sua “creatura” come l’Istituto Italiano per gli Studi Storici e dalla Fondazione Biblioteca Benedetto Croce che le figlie nel 1955 istituirono a Palazzo Filomarino dove il filosofo visse e lavorò.

Ma con l’attenzione per l’opera cresce anche l’interesse per la vita perché da un po’ di tempo ci si è resi conto che l’esistenza di Croce, tutt’altro che olimpica e caratterizzata da una dimensione tragica, è un’opera nell’opera. Se lo si volesse dire con una felice formula si potrebbe far riferimento a Gabriele d’Annunzio che ambiva a fare della sua vita un’opera d’arte, mentre Croce ne fece un’opera di filosofia. E’ questo l’impianto dell’ultima biografia di Croce, scritta dallo studioso Emanuele Cutinelli-Rendina, che ora arriva in libreria: Benedetto Croce. Una vita per la nuova Italia (Aragno).

Si tratta di un volume ponderoso che divide la vita di Croce e la vita dell’Italia del moderno Stato nazionale in tre momenti e, a sua volta, divide il testo in tre tomi. Il primo, di oltre settecento pagine, è dedicato alla “Genesi di una vocazione civile” e va dal 1866, anno di nascita di Benedetto Croce, al 1918, anno in cui si conclude la Grande guerra e, come avrebbe detto lo stesso Croce, finisce il vecchio mondo mentre all’orizzonte non si intravede nulla di buono. Gli altri due tomi dovrebbero uscire nel giro di circa due anni.

Tutta la vita di Croce, dal terremoto di Casamicciola alla vocazione filosofica, dall’amore nella vita privata (con Angelina Zampanelli e dopo la morte di lei il matrimonio con Adele Rossi) all’amore nella vita pubblica con la battaglia per il non intervento nel conflitto e la passione e trepidazione per le sorti della “giovine Italia” dopo Caporetto, passa sotto l’occhio del lettore e sotto la lente d’ingrandimento dell’autore e così Croce si mostra con “un profilo infinitamente più complesso e sfaccettato, mobile e inquieto” di quel che poteva sembrare al tempo della sua morte.

Tuttavia, quando Croce morì aveva da un anno pubblicato un libro come Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici in cui vita e pensiero sono presentati come una lotta incessante con l’inquietudine e il tragico, giacché la filosofia fin dalle origini è il tentativo di ricomporre il tragico.

La vita di Croce è la lotta contro il drago che nella storia italiana ed europea diventa la lotta per la libertà contro i drammi dei mostri totalitari – dal fascismo al nazionalsocialismo al comunismo – e il filosofo passa dal piano speculativo alla battaglia civile. Non a caso quella che i manuali di storia della filosofia chiamano scolasticamente “filosofia dei distinti” altro non è che – come amava dire uno studioso serio come Nicola Matteucci – l’atto di fondazione del pluralismo senza il quale ogni democrazia è tale solo di nome.

Aveva ragione Renato Serra quando diceva di Croce – e Cutinelli-Rendina mette la nota frase in esergo – che dietro l’immagine di un napoletano senza gesti si celava un “pensiero ignoto”. Ecco il punto: scrivere della vita di Croce significa capirne il pensiero in cui il tragico, che è presente dall’ “inizio” greco, più che essere composto è mostrato fino a diventare una forma di tutela dalla tracotanza del potere e la difesa della libertà umana che è chiamata a smontare l’ossessione totalitaria insita nella cultura moderna. Una vita filosofica.

Il Corriere della Sera

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