Il codice degli appalti non ha funzionato

Il codice degli appalti non ha funzionato

Parliamo col Professor Tedeschini di concessioni e di appalti: concessioni e appalti ci fanno venire in mente il Ponte Morandi, da poco riaperto, che ora si chiama Ponte San Giorgio.

Non c’è dubbio che la vicenda del Ponte Morandi abbia dimostrato come il codice degli appalti, in vigore nel momento del crollo, fosse assolutamente inutilizzabile per coniugare l’urgenza dell’avvio e del completamento dell’opera con i princìpi che sono alla base delle direttive europee. Il codice degli appalti ha due grandi difetti: il primo è che piuttosto che occuparsi, come dovrebbe, della ricerca dell’offerta economicamente più vantaggiosa, si concentra prevalentemente sulle qualità degli offerenti e, non sempre, chi è offerente di maggior qualità riesce a fare l’offerta economicamente più vantaggiosa. Il secondo difetto è che vìola chiaramente, ed è stato accertato dalla Corte del Lussemburgo, il principio del gold plating  vale a dire il divieto di aggiungere ulteriori adempimenti a quelli di base indicati nelle direttive comunitarie, concernenti sia quella sugli appalti pubblici sia quella sulle concessioni e che hanno, come dire, linee portanti similari. Dopo la vicenda del Ponte Morandi c’è stata la tristissima vicenda del Covid, e con il Covid ci siamo resi conto che il codice non funzionava soltanto quando si trattava di compiere lavori pubblici, ma tanto meno funzionava per le forniture, tanto meno per i servizi. Per cui il Governo è dovuto intervenire con un decreto legge e ha sospeso il codice degli appalti. È chiaro che questa sospensione significa che esso deve essere completamente riscritto.

Parlare di sospensione di un codice fa venire alla mente un tipo di democrazia diversa. Ma si può sospendere un codice, Professore?

Nel momento in cui la stessa figura soggettiva lo sospende – nella fattispecie il Governo che lo ha approvato in base a un decreto legislativo – non ci trovo nulla di scandaloso, ma voglio anche ricordare che di riforma profonda del codice si parlava già prima del crollo del Ponte Morandi e se ne è continuato a parlare nel periodo breve che c’è stato fra il crollo e l’avvio della pandemia: diciamo la verità, quel codice è stato un esperimento infelice. Un esperimento infelice frutto della cultura del tempo che voleva fare, attraverso il codice degli appalti, ciò che una legge amministrativa non deve fare, e cioè occuparsi della lotta alla corruzione, della trasparenza della concorrenza e via dicendo. Il codice degli appalti, in ottemperanza alla normativa comunitaria, deve ricercare l’offerta economicamente più vantaggiosa per l’Amministrazione, senza che possano innestarsi discriminazioni fra un’impresa di Milano e un’impresa di Bruxelles. Questa è la sostanza del problema.

L’altro “corno del dilemma”, avendo parlato di appalti, è quello relativo alla vicenda del Ponte Morandi delle concessioni. Le concessioni adesso vengono messe fortemente in discussione dal Governo e nel caso specifico della famiglia Benetton  che gestiva con Aspi il Ponte e le autostrade italiane  si vede ridotto questo fenomeno di concessione. Secondo Lei, come se ne esce dal punto di vista giuridico?

Se ne esce nella maniera più semplice. Il legislatore opera su fattispecie astratte, non sulla emotività che nasce dai casi concreti. Allora, pensare che lo Stato italiano possa rinunciare allo strumento concessorio è una assoluta follia, per la semplice ragione che con la concessione lo Stato regola l’attività del concessionario, il quale corre il rischio di impresa e soprattutto tira fuori i soldi. Acquisendo, direttamente o attraverso società strumentali come l’Anas quelle attività, lo Stato deve attingere a risorse della collettività e non mi pare che possiamo permetterci questo lusso. Tra l’altro non se lo permettono paesi che hanno finanze pubbliche molto meno disastrate delle nostre.

La Cassa Depositi e Prestiti dovrebbe ricomprarsi Autostrade. Lo Stato che ricompra in sostanza se stesso, ma Benetton dice “io le mie azioni le vendo al miglior offerente”.

Credo che abbia ragione, perché la convenzione europea dei diritti dell’uomo fa assoluto divieto al potere pubblico di espropriare senza un indennizzo pari al valore di mercato del bene espropriato: l’attività o l’azienda o i beni che dell’azienda sono composti e vengono trasferiti da un privato alle finanze pubbliche. Quindi su questo, Benetton (si chiami così o si chiami signor Rossi) direi che ha perfettamente ragione, perché chiede e invoca la protezione della convenzione europea. Non conosco il signor Benetton però per me ha ragione: fondo le mie opinioni sulla base dei fatti, non sulla base delle persone.

Per concludere, Professore Tedeschini, e non le chiedo di fare il profeta, ma questa vicenda degli indennizzi, dell’arrivo in mano pubblica nuovamente delle autostrade, quanto verosimilmente potrà durare?

In realtà, per certi aspetti, il profeta è impossibile farlo, per altri è facilissimo, perché delle due l’una: o si prosegue con l’operazione per cui la Cassa Depositi e Prestiti acquista a valore di mercato queste azioni – e il modo per conoscere il valore di mercato è di due ordini: il primo è un’asta pubblica; il secondo è chiedere una perizia ad esperti di questo settore (magari un collegio peritale nominato dal tribunale). Ma il valore di una azione, se è un euro resterà sempre un euro e, o gli dai questo euro o continua il contenzioso, questo è il punto. Direi che la questione si dovrebbe riuscire a risolvere nel giro di tre o quattro mesi, mesi particolari durante i quali potrebbe accadere di tutto: bisogna vedere se il Governo tiene, bisogna vedere che cosa succede per il referendum costituzionale, bisogna vedere come procedono le nostre vicende sanitarie e soprattutto le nostre vicende finanziarie. Quindi tre o quattro mesi possono imprimere delle svolte tali delle quali noi, oggi, non siamo nemmeno in grado di pensare o di immaginarne gli effetti.

 

Intervista realizzata e pubblicata da L’Eurispes

Share