I palestinesi sono principalmente vittime di se stessi

I palestinesi sono principalmente vittime di se stessi

È l’ora di accorgersi che i palestinesi non sono vittime altro che di se stessi. Se potranno continuare sulla loro strada, proseguiranno come Al Qaida e Isis fino nel cuore dell’Occidente. È ora di cambiare: questa è una guerra fondamentale che deve battere il terrorismo, può invadere il mondo se non viene fermato in Israele. Deve finire l’illusione pietistica che i palestinesi siano le vittime di Israele: è vero il contrario. Israele è l’aggredito. Ogni offerta di pace è stata rifiutata. Occorre ristabilire la verità storica contro le bugie che inondano l’opinione pubblica. Chi descrive i palestinesi, specie quelli di Gaza, come vittime dell’oppressione, nega la prima di tutte le verità storiche: Gaza vive sotto il tallone di Hamas indisturbata dal 2005, non è occupata, il livello di vita della sua popolazione, che si è moltiplicata fino a 2 milioni da poche centinaia di migliaia, è pari a quello medio alta del mondo arabo. La reclusione che lamenta è solo dovuta a motivi di sicurezza. La povertà, al cinismo e alla corruzione della sua leadership. Anche il West Bank è stato liberato dalla presenza ebraica negli anni ’90, il 98% della sua popolazione vive governata solo dall’Anp, lo stato definitivo per l’istituzionalizzazione del governo di Abu Mazen attende un accordo che i palestinesi hanno sempre rifiutato. Così stabiliscono anche le risoluzioni dell’Onu: è falso che esista una «occupazione illegale».

Non c’era nessuno stato nei territori che Israele dovette occupare con la Guerra del ’67 e che erano illegalmente occupati dalla Giordania. Nessuno stato palestinese, mai esistito. Gaza è una storia a parte, passata dalle mani degli egiziani a Israele suo malgrado. Ma nei secoli, dal 140 dC hanno lottato per vivervi le comunità ebraiche poi espulse nel 1919 dagli ottomani, e definitivamente eliminate dagli arabi negli anni ’20. Oggi lamenta di essere una prigione a cielo aperto: ma i movimenti limitati sono dovuti alle aggressioni terroristiche. Pure, Israele ha sempre lasciato che Gaza venisse rifornita, finanziata, curata. Le molte guerre di aggressione di Hamas sono state sottovalutate, e lo sgombero del 2005 è stato un errore, si dice. Ma adesso dopo le mostruosità e le 1.300 creature inermi uccise bestialmente, Israele deve riaffermare il diritto alla vita della popolazione.

L’accusa più corrente è quella di colpire per vendetta i civili di Gaza. Non è vero. Hamas disloca missili e centri di comando in aeree densamente popolate, moschee, ospedali, scuole. Ogni civile colpito è per Hamas uno strumento di propaganda. Israele cerca di contenere il numero di innocenti colpiti, usa gli avvertimenti preventivi. Ma se non destruttura Hamas, con quelle armi, quegli uomini si produrranno continue ripetizioni del lancio di missili e delle atrocità. Questo non è possibile. Israele ha spesso fermato operazioni perché erano stati individuati bambini nell’area. Invece, Hamas vede nei bambini un punto debole con cui fiaccare il nemico. Stavolta tanti bambini sono stati rapiti. E anche decapitati. Non c’è confronto nel cercare di annichilire la leadership che fa della sua popolazione lo scudo umano del terrore e il sistematico sgozzamento di civili. Nel 2009 dopo una delle guerre di Gaza il giudice Goldstone compilò, incaricato dall’Onu, un’inchiesta sui crimini compiuti: prima accusò Israele, per poi denunciare quanto Hamas approfitta dei suoi cittadini facendone scudi umani.

La base teorica dell’odio palestinese è generale: Abu Mazen ha detto che gli ebrei non appartengono al Medio Oriente, ma sono colonizzatori europei, e che Hitler li ha perseguitati per la loro ignominia. Si chiama antisemitismo, delegittimazione. L’intera storia della presenza ebraica in Israele, a volte viene vista erroneamente come una presenza coloniale nella Palestina occupata: ma sono i palestinesi i recenti immigrati da Siria ed Egitto. La storia: il popolo ebraico ha la sua origine, la sua terra e la cultura della Bibbia, dal 1.600 aC. Gerusalemme è diventata capitale del regno di Israele nel 1.000 aC. Il Tempio è stato distrutto prima dai babilonesi, poi dai Romani nel 70 dC. Sulle sue rovine si costruì prima una basilica, poi la moschea. Ma nonostante i tentativi di cancellarla, c’è una massiccia evidenza storica, letteraria, archeologica dei secoli in cui gli ebrei sono rimasti attaccati a Gerusalemme nonostante le dominazioni greche, romane, dei mamelucchi, degli ottomani, e poi degli inglesi che sostituirono i turchi con il mandato britannico stabilito dalla Lega delle Nazioni. È proprio la decolonizzazione che riconsegna agli ebrei la loro terra, mentre cresce il movimento sionista, con la dichiarazione Balfour del 1917 che disegna «una casa nazionale» molto maggiore del territorio che Israele riceverà dall’Onu del 1948, e poi gli accordi di Sanremo, che nella legalità internazionale mandano avanti la creazione dello Stato ebraico. Il terrorismo arabo filonazista era già molto fiorente mentre nessuno stato palestinese è mai esistito. I leader arabi stessi includono quest’area nella Grande Siria e i palestinesi aumentarono di numero solo quando gli ebrei si misero al lavoro in una terra abbandonata e incolta. Più del 90% di quelli che si dichiarano oggi palestinesi giunsero con le migrazioni.

L’intenzione di Israele di condividere l’area con il mondo arabo è stata rifiutata: ma la Giudea e la Samaria, il West Bank, non sono mai state parte di nessuna Palestina, termine coniato dai Romani per cancellare la presenza ebraica. Erano illegalmente occupate dalla Giordania dal 1950 e nessuno ha mai protestato. Dal ’67 sono l’epicentro di una rivendicazione che parla di un’illegalità inesistente. La loro conquista è dovuta a una risposta a un attacco giordano e le risoluzioni Onu non assumono affatto che siano lo stato palestinese, ma asseriscono che la loro appartenenza è legata a una trattativa. La trattativa, sin da Oslo, si è sempre conclusa con un nettissimo rifiuto da parte palestinese: Arafat a Camp David nel 2000, cui seguì l’Intifada e poi Abu Mazen ad Annapolis nel 2007. Lo scopo era e resta quello dell’eliminazione di Israele, che Hamas ha trasferito nel campo religioso-ideologico. «Due Stati per due popoli» è stato anche per Fatah un cavallo di Troia, specie quando lo strumento del terrorismo diviene arma di sterminio di massa: durante la seconda Intifada fra il 2000 e il 2003 quasi 2mila ebrei furono uccisi sui bus, per strada. La politica dell’Anp è quella di non condannare mai il terrorismo, anzi di fornire ai terroristi un vitalizio ogni volta che vengono catturati o alle famiglie se muoiono. Il premier Ariel Sharon si immaginò un futuro di amicizia dando a Gaza aiuti, strutture agricole e industriali. Jihad Islamica e Hamas ne hanno fatto la punta di diamante di una strategia di attacco contro Israele e contro l’Occidente.

Oggi non c’è modo di immaginare un futuro avendo vicino Hamas che viola tutti i diritti umani e ordina di uccidere gli ebrei. Ogni giorno i terroristi agiscono sul territorio israeliano nonostante Israele si sia sempre preso cura dei suoi malati, dei bimbi, persino della moglie di Ismail Hanye. Non c’è mai stato accanimento sulla Striscia, i soldi degli aiuti, l’acqua, il gas, le medicine, la benzina sono state forniti in quantità. Ma Israele deve poter contare sul consenso del mondo quando cerca di cancellare il mostro che minaccia tutti noi.

 

Il Giornale

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