Fisco impoverente

Fisco impoverente

Sono tutti a favore della diminuzione della pressione fiscale, ma quella resta a livelli demoniaci. Tutti parlando di necessario shock per riprendere a crescere, ma poi restano scioccati nell’immobilismo. Ora il governo si divide, tanto per cambiare, sul come e dove cominciare: cuneo fiscale o irpef? Si comincia dalla spesa, se si vuole andare da qualche parte.

I dati elaborati da Confindustria ed Itinerari previdenziali mostrano che per ogni 100 euro che finiscono, netti, in tasca al lavoratore, il costo di quel reddito è pari a 207. Più del doppio. 61 euro sono contributi a carico del datore di lavoro; 14 a carico del lavoratore; 32 imposte sul reddito. La media dell’euroarea è 160 ogni 100 netti. Prima che qualcuno dica che non ci si deve confrontare con una media che comprende Paesi con una spesa sociale bassa, sarà bene aggiungere che, considerando anche il Tfr e i contributi Inail, i soli due Paesi europei che riescono a superare il totale netto sono il Belgio e l’Italia. La Germania viene dopo e gli altri a seguire. E il masochismo non consiste solo in quanto si preleva a chi lavora e produce, ma pesa micidialmente il come si spendono quei soldi.

Se si continuano a prendere i soldi dal lavoro per portarli al non lavoro, avendo praticamente cancellato gli investimenti, si rattrappisce la crescita e si illude con le rendite. Supporre che un Paese esportatore cresca mettendo “soldi in tasca alla gente”, come dice l’incoscienza corrente, è idea che può passare solo per la testa di persone che non hanno mai prodotto nulla e mai vissuto la competizione nel mercato. Non è neanche caritatevole, perché se la ricchezza non cresce saranno i più deboli a pagare il prezzo più alto.

Cominciare, quindi, si comincia dal tagliare la spesa. Al tempo stesso riqualificandola. Perdiamo competitività da lustri, ma la causa non è quanto i lavoratori guadagnano, bensì quanto costa al sistema produttivo mantenere quello improduttivo. Se si continua a spendere a debito il costo di quello supera i presunti benefici della spesa. Se gli alunni diminuiscono e non si fa che parlare di assunzioni di quanti persero un concorso dieci anni prima la spesa cresce, l’età media degli insegnanti pure e la qualità diminuisce. Se anziché accorciare i tempi dei processi si consente che siano eterni il costo cresce e l’inciviltà anche. Se oltre che costoso il fisco è anche labirintico, chiedendo tempi inaccettabili per essere soddisfatto il dissanguamento non si arresta e resta meno tempo per recuperare. E così via nelle follie masochiste di quel che i contribuenti sono costretti a finanziare sempre di più ricevendo in cambio sempre di meno.

Dopo di che passa l’imbonitore di turno e promette più pensioni non basate su contributi, più assistenzialismo, più rendite, ma, sia chiaro, nel mentre diminuiremo la pressione fiscale. Quello prende in giro e tanti sono lì, felici d’essere presi in giro. Una fiscalità impoverente. E non solo dal punto di vista strettamente economico.

Share