“Errore il referendum in una sola giornata. Un fronte garantista per una nuova giustizia”

“Errore il referendum in una sola giornata. Un fronte garantista per una nuova giustizia”

L’ex toga: «Il risparmio dell’election day è relativo, la lentezza dei processi costa il 2% del Pil e le intercettazioni bruciano milioni»

Carlo Nordio indossa la toga anche ora che formalmente l’ha tolta, dopo 40 anni in magistratura. E la giustizia vuole riformarla, anche a colpi di referendum.

L’election day è fissato il 12 giugno perle amministrative e i referendum sulla giustizia, ma ci sono molte polemiche sulla scelta di far votare un giorno solo, soprattutto per il rischio che sui quesiti referendari non si raggiunga il quorum. Lei come la pensa?

«Credo che l’importanza della consultazione sia tale per cui si debba dare ai cittadini la massima facilitazione per andare alle urne. È vero che la limitazione alla domenica costituirebbe un risparmio. È ancor più vero che un cambiamento radicale della giustizia, sostenuto da una vittoria del referendum, farebbe risparmiare allo Stato cifre cento volte maggiori. Basti pensare che la lentezza dei processi incide sul 2 per cento del Pil, e che il solo costo delle intercettazioni, gran parte delle quali inutili e dannose, costano decine di milioni di euro».

Silvio Berlusconi, con Lega e Radicali che hanno promosso i referendum, chiedono a Draghi un decreto appunto per mantenere le urne aperte il lunedì, sostenendo che altrimenti si ostacola la piena partecipazione alla consultazione popolare. È d’accordo?

«Certo. E spero che l’iniziativa venga assecondata anche da altri partiti».

Lei appoggia i referendum sulla giustizia, perché?

«Li appoggio, e sono stato uno dei primi firmatari, per una ragione essenzialmente strategica. Indipendentemente dai singoli quesiti, su alcuni dei quali si possono anche nutrire perplessità, conta il messaggio che può derivare da una vittoria referendaria: la volontà di un cambiamento radicale del nostro sistema penale, contrassegnato dalla lentezza dei processi, dall’abuso della custodia cautelare, dal protagonismo di alcuni magistrati, dalla baratteria di cariche correntizie del Csm emersa dallo scandalo Palamara, dall’estromissione di politici e amministratoI quesiti del referendum sulla giustizia, dalla separazione delle carriere alla valutazione dei pm ri per via giudiziaria, e potremmo continuare. All’opposto, se la maggioranza dei cittadini non andasse a votare, significherebbe che le cose stanno bene così».

I referendum sono sempre apparsi soprattutto come stimolo al Parlamento, che da anni non riesce a «produrre» la necessaria riforma della giustizia, ma ora il governo rischia di farne un boomerang: la ministra Cartabia sostiene che non è opportuno intervenire ad esempio sulla legge che disciplina i passaggi di funzioni tra giudici e pm perché altrimenti decadrebbe il quesito referendario che riguarda il problema. E così si potrebbe lasciare tutto immutato, se il referendum non avesse successo.

«Tecnicamente la ministra ha ragione. Se cambi anche di poco la normativa, è possibile che su quel punto il quesito referendario sia superato, e la consultazione si riduca a un paio di questioni, contenendo ancor di più la probabilità di afflusso alle urne. Aggiungo che Cartabia è secondo me un ottimo ministro ma le riforme non le fa lei, ma il Parlamento. E Cartabia sa benissimo che con questo Parlamento le possibilità di riforma sono estremamente limitate».

L’altro punto nevralgico è il sistema elettorale del Csm, con la ministra che vuole un maggioritario con quota proporzionale e il centrodestra che insiste sul sorteggio temperato. L’ultima proposta di mediazione della Guardasigilli, su input della Lega, è il sorteggio dei collegi invece dei candidati. Le sembra una soluzione per limitare il peso delle correnti?

«Questo è l’aspetto più delicato. Vi sono effettivamente vincoli di ordine costituzionale. Io sostengo il sistema del sorteggio del Csm da 25 anni, ma questo postula una revisione della Carta, che sul punto è assai chiara. E in effetti, se vogliamo che il processo penale diventi realmente garantista, occorre una rivoluzione copernicana della giustizia, incompatibile con i tempi e i limiti di questa legislatura. Ma se il messaggio dell’elettorato fosse chiaro, il prossimo parlamento sarebbe vincolato politicamente e moralmente a rivedere tutto il sistema».

In conclusione?

«In conclusione è necessario che tutte le forze garantiste, indipendentemente dalle simpatie per quello o quell’altro partito, uniscano le energie per questa battaglia di civiltà giuridica. Con la consapevolezza che se il referendum fallisse sarebbe inutile ogni ulteriore lamentela sull’inefficienza e l’iniquità del nostro sistema penale».

Intervista di Anna Mari Greco su Il Giornale.it

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