Ecco perché, da liberali, siamo al fianco delle donne iraniane

Ecco perché, da liberali, siamo al fianco delle donne iraniane

Una società è libera più sono libere le donne, e anche noi in Italia siamo stati a lungo in ritardo. Il cammino verso l’abolizione della Sharia è lungo e tortuoso, ma le iraniane vanno difese ora

In Ucraina combattiamo, per interposta nazione, una guerra in difesa dei principi liberali su cui si fondano i nostri sistemi democratici e nei quali si identifica la nostra civiltà. Si tratta dei medesimi principi che ispirano i diritti in difesa dei quali si battono le donne iraniane.

In una prospettiva liberale, infatti, non esistono i generi così come non esistono le caste, i censi, le classi, i monopoli e i depositari di Verità assolute: tutti hanno gli stessi diritti, tutti devono avere le stesse possibilità. Pensiero liberale e diritti democratici hanno percorso a braccetto la Storia degli ultimi tre secoli e la questione femminile ne è stata una delle bandiere. Già nel 1869 John Stuart Mill contestava “la servitù” femminile e inseriva nella narrazione liberale l’uguaglianza tra i sessi e i diritti politici delle donne. Fu una grande intuizione, essendo oggi piuttosto evidente come la condizione femminile sia tra i più efficaci indicatori del grado di liberalismo di ogni società: più le donne sono libere, più è liberale la società di cui quelle donne fanno parte.

È dunque naturale che la Fondazione Luigi Einaudi si trovi oggi in prima fila nel denunciare la violenza con cui il regime iraniano sta reprimendo una pacifica e incomprimibile richiesta di libertà. La libertà delle donne di svelarsi. Di mostrare, cioè, ciascuna il proprio volto, dunque di essere riconosciute come individui, dunque di essere titolari di diritti civili e politici. E di conseguenza di essere libere di scegliere, di muoversi, di parlare, di crescere culturalmente, spiritualmente e socialmente. Si tratta di diritti umani, diritti né maschili né femminili.

Con l’obiettivo di tenere desta l’attenzione delle istituzioni e dei media italiani ed europei, la Fondazione Luigi Einaudi terrà domani in Senato una conferenza stampa alla quale parteciperanno importanti personalità e organizzazioni della dissidenza iraniana. Con l’occasione, presenteremo un Manifesto in difesa dei diritti e delle libertà delle donne iraniane che da domani ciascuno potrà firmare sul sito www.fondazioneluigieinaudi.it.

Invochiamo la parità di genere e la libertà personale, ma siamo consapevoli di quanto lungo e tortuoso sia il cammino che abbiamo di fronte. Ne siamo consapevoli perché conosciamo la storia e l’influenza che le religioni da sempre esercitano sui fatti storici e sui processi sociali.

Come italiani, e dunque come cattolici, non possiamo dimenticare quanto, e quanto a lungo, il pregiudizio nei confronti delle donne abbia ispirato la nostra cultura e di conseguenza le nostre leggi. “La donna è l’ostacolo principale sulla via che conduce a Dio”, diceva sant’Agostino. E per secoli sia la Chiesa sia lo Stato hanno fatto di quel pregiudizio la Regola.

In Italia, le donne hanno avuto riconosciuto il diritto di voto solo nel 1945; il reato di adulterio, punito per la donna con un anno di reclusione, è stato abolito solo nel 1968; il delitto d’onore, cioè le attenuanti per l’uxoricida dell’adultera, e il matrimonio riparatore, cioè la norma del codice penale che cancellava la colpa dello stupratore che sposava la vittima, sono stati abrogati solo nel 1981. Quarant’anni fa appena.

Molto, in questo ritardo, ha contato la profondità in cui sono depositati nelle viscere della nostra nazione quegli antichi codici patriarcali per millenni tipici della storia umana, e di quella dei popoli meridionali in modo particolare. Moltissimo ha contato l’influenza culturale e politica della Chiesa cattolica. Una Chiesa da tempo disarmata e priva di poteri temporali, eppure a lungo capace di influenzare le coscienze, la società e le scelte del decisore politico.

Il principio della separazione tra Chiesa e Stato è entrato sin dal Settecento nella nostra cultura giuridica e politica ed è stato ufficializzato nel 1929 con i Patti Lateranensi, ma ha impiegato altri sessant’anni per allentare la presa sulle libertà civili individuali e in modo particolare su quelle femminili.

È bene rammentarlo. È bene rammentarlo perché se questa è la storia dell’Italia non si può chiedere troppo alla storia dell’Iran. Una repubblica islamica fondata sulla Sharia. Cioè sulla sottomissione dello Stato alla Chiesa, della Legge alla Verità, dell’uomo a Dio e della donna all’uomo.

Inutile giraci girarci attorno: la Sharia, soprattutto nell’interpretazione retriva che ne danno i mullah iraniani, non è compatibile con i principi liberali. Chiederne, oggi, il superamento sarebbe ingenuo, pretendere che il regime iraniano sospenda la repressione e assicuri alle donne la libertà di manifestare pacificamente per l’affermazione dei propri diritti è doveroso. Un dovere che confidiamo sia avvertito come tale da tutti i governi e da tutte le organizzazioni nazionali ed internazionali che amano definirsi liberali e/o democratiche.

Huffington Post

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