Cullarsi

Cullarsi

Della denatalità ci siamo occupati, senza aspettare di doverlo fare in coro. Sono le stonature a preoccupare. È il lanciare e vivere gli allarmi senza mai fare i conti con la realtà. Sempre alla ricerca di responsabilità da attribuire a qualcuno o qualcosa, comunque mai a sé. Diminuiscono gli infanti, ma aumenta l’infantilismo, il cullarsi nelle spiegazioni di comodo.

Si lascino da parte i moralismi. Nel nostro mondo, bello e migliore, la genitorialità può essere una libera scelta. Bene. Ricordando a noi tutti che i bambini non sono solo impegni e fastidi, ma anche una bellissima avventura, resta il fatto che la scelta di non averne è libera e va rispettata. Punto. Nel nostro mondo, bello e migliore, la consapevolezza della coppia consente di separare, con ragionevole precisione, l’eros dalla riproduzione, il che porta alla liberazione del sesso. Che è una gran bella cosa. Ritengo l’aborto una tristezza che è necessario regolare, mentre l’uso degli anticoncezionali uno strumento di libertà, per gli individui e le coppie. Evviva.

Non è solo l’avere figli che genera delle responsabilità, ma anche il non averne. Con questa leva demografica i sistemi fin qui sperimentati di stato sociale, dal pensionistico all’assistenza, saltano. C’è poco da girarci attorno, giacché si reggono su ingressi nel mercato del lavoro più numerosi delle uscite. Cullarsi nell’idea che si possano fare meno figli ed avere più welfare è un trastullarsi nell’incoscienza. A meno che non s’importino dosi massicce di lavoratori. Ma è questione di cui ci siamo già occupati.

Nei commenti che si leggono, quando si affrontano questi tempi, ricorrono sempre questioni di tipo contrattuale: servono più giorni di assenza dal lavoro, serve che lo faccia anche il padre (con apposito moralismo di genere), servono garanzie per i lavoratori. Invece serve senso della realtà, perché in Italia abbiamo meno persone in età attiva al lavoro, meno donne e meno giovani degli altri Paesi europei, ma facciamo anche meno figli. Quindi raccontarsi che non si procrea perché si lavora, magari supponendo di farlo anche troppo, significa prendersi in giro.

Certo che servono più servizi alla famiglia, più scuole a tempo pieno (e di migliore qualità), più strutture per il tempo libero e lo sport, perché al bambino non lasci le chiavi di casa una volta terminato l’allattamento, ma tutto questo, che sarebbe il minimo della civiltà, renderebbe più facile la vita ai genitori, mentre non è affatto detto che ne aumenti il numero. Facevamo molti più figli quando c’era ed avevamo molto di meno.

Pensare che tutto discenda da responsabilità della “società”, quando non da una forsennata voglia di produttività (che non c’è), è solo un modo per favorire la deresponsabilizzazione di massa, il figurarsi bimbi da prendere per mano, il rifiutarsi d’essere adulti. E l’infantilismo in età adulta può ben chiamarsi: rincitrullimento. Ove non sia perdita della ragione è trionfo dell’ipocrisia. Tanto più che la “società” in cui viviamo non è il modello imposto dalle forse oscure del male sempre in agguato, ma il risultato delle scelte individuali nel loro sommarsi collettivo. Scelte politiche comprese. Noi chiediamo ossessivamente di spendere di più in pensioni, riuscendoci, mentre lasciamo al settore geremiadi le spese per l’infanzia, interpretandole come spesa per assumere adulti. Ciò avviene perché pensionati e pensionanti votano, mentre nascituri e neonati no.

Nel bene e nel male il mondo che viviamo è quello che ci siamo costruiti e abbiamo voluto. Per molti aspetti è il mondo migliore che si conosca sul pianeta, per altri è viziato dall’illusione che si possa consumare senza produrre e accollare i debiti dei più sulle spalle dei meno, per giunta non facendoli nascere. Sicché serve a nulla il moralismo e serve ancora meno il sermoneggiare. Prima di andare a moltiplicarci si dovrebbe almeno imparare a far di conto. La notizia è: con quei numeri il modello non regge. Ora si può buttare questo articolo e tornare a far finta che sia un problema di altri.

La Ragione

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