Cittadinanza

Cittadinanza

Se preso dal lato dell’emozione, usando la propaganda, il tema della cittadinanza rischia di arrecare danno a chi lo maneggi. Se preso con realismo e pragmatismo si tratta di questione su cui un ragionevole compromesso è possibile e conveniente. Le premesse non sono buone, perché, al debutto della discussione parlamentare sui diritti di cittadinanza, sono già all’opera gli sbandieratori. Peccato i vessilli siano smandrappati.

La sinistra che vibra d’emozione, desiderando accogliere e far divenire cittadini i popoli del mondo poi si ritrova, quando va al governo, a non varare mai decreti quote, ovvero autorizzazioni all’ingresso regolare, non dico pari, ma neanche alla metà di quel che i conti indicano come necessità.

Anzi, si ritrova anche ad adoperarsi per la creazione dei campi in Libia, onde non s’imbarchino emigranti alla volta delle coste italiane. E non è il solo problema, perché questa umanità, arrivando, non è che entri in concorrenza con i ceti professionali, ma con quelli operai e della manualità, ovvero con quanti la sinistra afferma di volere difendere e che, invece, alquanto s’inquietano.

La destra che vibra di sdegno, immaginando frontiere invalicabili e arcigni respingimenti, poi va al governo e firma, ripetutamente, documenti nei quali s’afferma che, per far quadrare i conti previdenziali, occorre far entrare 165-170mila immigrati in più all’anno, ogni anno. Invoca rimpatri e poi, una volta al governo, non li fa o non ne fa più di quanti se ne fanno di consueto.

E non è il solo problema, perché quei lavoratori sono necessari al sistema produttivo, che li invoca e che loro pretendono di difendere. Così si arriva al ministro leghista del turismo che prima osserva le coste con piglio guerresco, poi s’accorge che mancano stagionali, propone di lasciare loro una parte del reddito di cittadinanza, infine invoca il ministro degli interni acciocché faccia entrare immigrati.

Possono pure prenderla a bandiere, finendo con lo sbandierare il loro continuo sbandare e vaniloquiare.

Se la si prende seriamente, però, il compromesso non è poi così difficile. Da nessuna parte, in Unione europea, si sono istituiti automatismi totali, della serie: se sei nato qui o hai studiato qui, o ci sei da x anni, automaticamente sei nostro concittadino.

Ovunque si sono predisposte griglie e condizioni. Faremmo bene ad armonizzare, anche perché se diventi cittadino tedesco, francese o spagnolo sei già cittadino europeo, quindi mio concittadino. Essendo identico il risultato non c’è ragione di conservare diversa procedura.

In Parlamento il compromesso potrebbe essere articolato in tre punti:

  1. Tutti i minorenni presenti in Italia, senza distinzione alcuna, hanno eguali diritti e tutele. È già così, ma si può migliorare su questioni pratiche, come i viaggi e i passaporti, come l’iscrizione ai club sportivi e il potere gareggiare sotto le bandiere nazionali. Come altre questioni simili.
  2. Chi ha fatto qui le scuole (stiamo sempre parlando di minorenni, quindi non ce ne devono essere che sono qui da cinque o sei anni e non hanno frequentato le scuole) deve potere diventare cittadino italiano senza ulteriori formalità, anche nel caso in cui i genitori conservino cittadinanza straniera. Con un ostacolo/opportunità, di cui al punto successivo.
  3. “Senza ulteriori formalità” non significa “automaticamente”. Quando raggiunge la maggiore età la persona decide: sì, voglio essere italiano, evviva, bollare; no, non è mia intenzione, rispetto, vistare. Anticipare e rendere automatico non solo non accresce, ma tarpa la libertà individuale e introduce un problema collettivo: il cittadino italiano minorenne per cui pretendono di decidere genitori che rispondono a diversi sistemi di diritto. Un guaio da non cercarsi, posto che comunque, da noi, i diritti del minore saranno difesi dallo Stato.

Se si resta ai fatti, si ragiona di opportunità e si costruiscono compromessi. Se si agitano le emozioni, si erigono contraddizioni.

La Ragione

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