Chi ha votato no al Referendum?

Chi ha votato no al Referendum?

Il giorno dopo il passaggio dalle urne tutti si proclamano vincitori, ma chi sono gli sconfitti? Nel caso del referendum per la riduzione del numero dei parlamentari, approvata dal 69,96% dei votanti, essi sembrano corrispondere a un identikit preciso: abitano nei centri storici delle grandi città, hanno redditi più alti e immobili più cari della media. Questo è almeno lo stereotipo, che una prima e approssimativa analisi dei dati sembra confermare. Ma forse c’è qualcosa di più e vale la pena di guardare meglio. Non è detto che coloro che hanno messo la croce sul «No» siano semplicemente una élite distaccata dalla realtà e legata a una vecchia immagine dei partiti e della politica.

In primo luogo però i dati, che in buona parte sembrano confermare lo stereotipo dei ceti privilegiati e conservatori di un mondo ormai superato.

In tutte le principali città su cui il «Corriere» ha fatto un primo esame, le aree in cui il «No» ha vinto coincidono quasi perfettamente con i quartieri più eleganti. A Torino per esempio il «Sì» alla riduzione del numero dei parlamentari ha vinto con il 60,7% e il «No» ha vinto solo nelle circoscrizioni 1 e 2 con il 57,4%. È il centro elegante che comprende Corso Einaudi, Corso Trieste, Corso Galileo Ferraris dove un buon immobile può costare circa tremila euro al metro quadro e un appartamento in affitto di 60 metri quadri più di 500 euro al mese (tutte le quotazioni sono tratte dalla banca dati dell’Agenzia delle Entrate). Se invece si guarda alla periferia Nord, nel quartiere ex operaio di Barca per esempio, si trovano prezzi degli affitti poco meno che dimezzati rispetto al centro e un’affermazione del «Sì» al 72%.
Peraltro sempre a Torino si profila molto chiaramente una seconda correlazione, parallela a quella fra orientamento al «No» referendario e prezzi o costi delle abitazioni: più alta è la percentuale dei laureati nelle varie aree residenziali della città, più è probabile che gli elettori abbiano teso a rifiutare l’ozione del taglio dei parlamentari. Dai elaborati da You Trend mostrano come l’orientamento al «No» nelle urne è salito sopra al 50% nei quartieri in cui la densità di laureati sul totale della popolazione sale sopra al 20%; dove la densità di laureati è sopra al 25%, la percentuale dei «No» si avvicina e in certi casi supera anche il 60%. Al contrario, nelle aree in cui chi ha un titolo di studio universitario non supera il 3% o 4% della popolazione, il «No» si attesta non oltre il 25%.

Le correlazioni fra reddito (presumibile dagli affitti), ricchezza (presumibile dal valore degli immobili) e preferenza per il «No» si presentano anche a Milano. Nell’ampio centro storico, dove tipicamente l’Agenzia delle Entrate può dare valori delle case a 8.500 euro al metro quadro e affitti da 1.500 euro al mese, il «No» alla riduzione dei parlamentari ha vinto nel Municipio 1 con il 56,5%. Ma è l’unica area dove prevale. Se si va per esempio alla Bicocca, dove acquisto e affitti degli immobili costano un terzo rispetto al centro, il «Sì» prende il 60,37%: è nella media nazionale, ma sopra la media milanese del 56,5% per la riduzione dei seggi.

Stessa storia anche a Roma, che nella media dei suoi municipi presenta un 60,1% a favore del «Sì». Il massimo dell’affermazione del «No» è però nel quartiere «Parioli-Nomentano» (secondo Municipio), dove l’opzione per il mantenimento dello status qui parlamentare arriva al 57%. Anche in questa zona naturalmente l’Agenzia delle Entrate segnala gli immobili fra i più cari della città a oltre 5.000 euro al metro quadro e anche mille euro al mese per 60 metri quadri in affitto. All’opposto periferie come Corviale, Prenestino o Centocelle fanno segnare un’affermazione del «Sì» ben oltre il 60%.

A Napoli invece il «No» perde ovunque, ma in maniera meno pesante nella zona di Chiaia, Posillipo e san Ferdinando. Resta vero più in generale che il Sud è stato orientato alla riduzione dei parlamentari più del Nord prospero del Paese. A Napoli stessa il «Sì» ottiene il 74%, più che in media nazionale, mentre a Palermo ottiene il 71%. La vittoria è invece relativamente meno ampia a Firenze (55,6%), Milano (56,5%), Padova (56,9%) o Bologna (57,2%).

È dunque ricchi contro poveri, élite contro popolo, vecchio sistema contro antipolitica, con la vitoria dei secondi? Non esattamente. Anche perché le presunte «élite» che hanno votato «No» al taglio dei parlamentari non solo rappresentano il 30% dell’elettorato – non proprio un gruppo ristretto — ma sembrano coincidere con molti elettori delusi dall’offerta politica che c’è.

Secondo i sondaggi di Ipsos, è soprattutto fra laureati, professionisti o manager che negli ultimi due anni è aumentato molto (di circa il 10% dell’elettorato) il plotone degli indecisi o di coloro che non pensano di votare alle prossime elezioni, perché insoddisfatti dai partiti che si presentano. Non amano le politiche solo redistributive senza attenzione alla crescita, non amano i populismi di destra o di sinistra, sono profondamente perplessi per i personalismi che impediscono alle forze riformiste di aggregarsi, pur avendo le stesse idee.

Oggi questo gruppo di delusi è indecisi vale ben oltre il 40% degli aventi diritto al voto in Italia. Non ama i politici oggi più popolari, molto probabilmente abita in buona parte i quartieri più eleganti delle città, moto spesso ha titoli di studio elevati. E al referendum di questa settimana ha votato «No». Non per difendere le «poltrone», ma per testimoniare il proprio dissenso dai messaggi che prevalgono in questi mesi e anni. Saranno élite, forse, ma ampie e un po’ preda della sensazione di vivere in esilio nel proprio stesso Paese.

Corriere della Sera

Share