Buttarla in Q

Buttarla in Q

Le istituzioni statunitensi hanno retto. La prova è stata dura, ma anche superata. La partita resta aperta, ma il meccanismo che salva la democrazia dall’avere legittimamente eletto chi prova a demolirla ha funzionato. Può sembrare paradossale, ma c’è un punto su cui è bene riflettere: al presidente in carica restano ancora i suoi poteri, compresa la valigetta con i codici di lancio atomico (che non può usare a suo piacimento), ma hanno tolto Twitter. C’è un senso, in questa estrosità.

Fra i problemi che questa faccenda ci lascia c’è la natura dei social, che sono sì stanze private, ma talmente affollate e influenti da non potersi ammettere che sia il loro padrone a stabilire chi ha diritto di parlare e chi no. E se questo è l’elemento oggi più appariscente, al punto che si toglie la parola all’inquilino della Casa Bianca, la faccenda più importante la si coglie se si va qualche puntata indietro: che succede in quelle stanze affollate, in cui tutti possono vociare, ma ciascuno sceglie cosa e chi ascoltare? sceglie o viene scelto?

Abbiamo visto le immagini di quelle enormi Q, brandite come identità è contenuto. Si tratta di QAnon. Il seme è stato gettato anni addietro, già contenendo i tratti della demenza: un gruppo di pedofili satanici domina il mondo, rapisce i bambini, li tortura, ne trae sostanze chimiche e poi li sopprime. Ha messo radici ed è cresciuto, elaborando le più disparate teorie cospirative. Non ha alcuna importanza che siano fra loro contraddittorie (ad esempio: a. il coronavirus non esiste è solo un complotto per tenerci prigionieri, i morti non ci sono, barano sulle cause; b. è stato creato artificialmente da chi voleva farci prigionieri e ucciderci, o da chi voleva arricchirsi, o da chi voleva sterminare i bianchi, o da chi voleva abbattere le democrazie …), basta che siano balle colossali e che qualcuno ci creda. Qualcuno, più qualcuno, più qualcuno fa una massa. E può capitare che una veterana vada a farsi accoppare in nome di QAnon.

Già, ma a che serve questo giochetto per decerebrati? Serve eccome, serve a che nessuno creda in nulla. È sufficiente diffonderlo per segare le zampe delle istituzioni democratiche. Ed è anche facile, perché se dico, come dico, che chi va appresso a queste cose è un imbecille subito mi si risponde: 1. sono antidemocratico, perché penso che la mia intelligenza valga più del popolo; 2. credo ai sapientoni (e qui risata ebete) e disprezzo gli umili; 3. sono un imbecille, perché non capisco che siamo stati ingannati; 4. sono un servo del potere, perché inganno; 5. sono un corrotto dai poteri forti, che campano sull’inganno; 6. sono un privilegiato, perché non capisco la rabbia e il disagio dei dimenticati (da chi? de che?). E così via. E se faccio osservare che il rispetto della democrazia ha portato già, da diverse parti, alla vittoria di chi sostiene ed è sostenuto da questa roba, senza che vi siano stati apprezzabili risultati, ecco la replica immediata: per forza, perché il potere è in mano dal Deep State. Che d’è? Ovvio: non lo sa nessuno, è un’entità, è lo Stato e il potere profondo, i sapienti, i savi che non si sono mai piegati al voto e dominano sul popolo.

Fosse tutto in un libro di fantapolitica non avrei dubbi: leggo altro. Ma questa non è fanta per nulla, è successo e succede, e mentre noi che ancora riteniamo utili il diritto e il mercato sentiamo come uno sfregio il fatto che un padrone digitale possa togliere la parola a un eletto dal popolo (ma anche solo a un qualsiasi cittadino), mentre proviamo a regolare materie digitali con leggi concepite per Gutemberg, che è come regolare il traffico aereo con le norme elaborate per le trazzere e i muli, c’è da porsi il problema se quella roba lì non abbia reso troppo potenti e influenti gli imbecilli di sempre. Che è vero già credettero ai protocolli dei savi di Sion (qualche fossile di stupidità ci crede ancora), producendo non poche tragedie, ma non è un buon motivo per lasciare che scorrazzino indisturbati nelle digitali praterie dell’esaltazione oscurantista.

Formiche

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