“Arrivano i barbari”. Considerazioni e (3) certezze post-voto

“Arrivano i barbari”. Considerazioni e (3) certezze post-voto

“Arrivano i barbari”, cantava Giorgio Gaber. Ascoltatela, quella riflessione profetica. Avvertiva che ci sono già, i barbari, perché siamo noi. Adesso li abbiamo anche contati nell’urna elettorale. Come quelli cantati, anche questi barbari non sono un’invasione dall’esterno, ma dall’interno.

Tanti sono allarmati, da quando hanno visto come è composta la maggioranza degli elettori. Ero allarmato prima, bastandomi la quasi totalità di quelli che i voti li chiedevano.

A leggere e ascoltare i commenti sembra che il pericolo consista nella diversità dei nuovi eletti. Lo vedo, piuttosto, nel loro essere uguali, figli di letti diversi, ma di un medesimo padre: l’assistenzialismo a debito.

Ci si allarma perché potrebbe non esserci una maggioranza.

Mi allarmo per la sua potenziale vastità. Già, perché se si va oltre lo sbandierare di straccetti incolori e senza vessillo, pregni d’idee come l’insegna appresso la quale Dante accoda gli ignavi, se si omette il delirio egolatrico dei capetti tonitruanti, ci si accorge che sono, fra loro, tanto vicini da essere quasi avvinghiati.

I pentastellati fecero messe di voti proponendo il reddito di cittadinanza. Ma non erano i loro antagonisti a proporre il reddito d’inclusione e quello di dignità? Nessuno di loro saprebbe spiegare come funziona l’uno o l’altro, ma tutti hanno coltivato la medesima speranza: che l’ascoltatore senza reddito adeguato intendesse d’essere destinatario di soldi altrui.

Possibile che siano così fessi da averci creduto? E perché non avrebbero dovuto?

Dal governo Renzi varò anche il regalo di compleanno, a spese dell’erario, mentre Berlusconi, tralasciando la più alta spesa pensionistica d’Europa, prometteva più pensioni ricordando d’averle già alzate.

Chi paga? E chi se ne frega, intanto si vincono le elezioni. I frinenti non erano i più credibili, bensì i meno incredibili. Per mancanza di prove.

I forzisti, divenuti debolisti, speravano di sbancare proponendo la flat tax al 23%. E che importa se i soli conti ben fatti la volevano al 25, ma con aumento dell’iva. Conta l’idea, che attira voti.

I leghisti, però, li surclassarono: 15%. La magia affabulatoria voleva che più l’aliquota fosse bassa maggiore sarebbe stato il gettito.

Miracolo! E tutti s’industriarono a spiegare che aumentando la spesa pubblica e il deficit sarebbe diminuito il debito, perché sarebbe cresciuto il pil.

Arimiracolo! Diciamo che il Gatto e la Volpe furono meno creativi e più rurali. Ricordare a tutti loro che se si consuma più ricchezza di quanta se ne produce cresce una sola cosa, la povertà, era inutile pedanteria. Era il confessare d’essere servi della finanza e propugnatori della schiavitù.

Mi facevano e mi fanno impressione, ma non per quanto sono fra loro diversi, bensì per quanto sono fra loro simili.

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Come era ragionevole supporre, in questa gara dissennata, il M5S s’è mangiato il Pd e la Lega s’è pappata FI. Anche io, del resto, quando mi capita di comprare il biglietto di qualche lotteria scelgo quella che ha il monte premi più alto: ovvio che non vinco, ma, se capita, meglio il più del meno.

Per il resto, che volete? La Lega aveva “no euro” nel simbolo e i 5S volevano il referendum per riprendersi la libertà. Berlusconi straparlava di doppia moneta e Renzi strologava di pugni battuti per avere elasticità. E a chi osservava che trattavasi di minchionerie galattiche rispondevano in coro: ti sta bene il mondo come è? No, non mi sta bene, ma quello modellato da cotante mani sarà peggiore.

C’è ancora tempo, tanto tempo, prima che si avvii la formazione di un nuovo governo. Il punto di partenza non potrà che essere il responso degli elettori, fatto di tre cose:

a. il partito di maggioranza relativa è il non partito (lo è ancora?) M5S;

b. la coalizione di maggioranza relativa è il centro destra a trazione leghista;

c. nessuno manco s’avvicina a quel che proclamava certo e indispensabile, ovvero una propria maggioranza. Il Pd può, in cortile, sfasciarsi con comodo.

Stando alle cose dette, lo ripeto, quel che inquieta non è che non ci sia una maggioranza, ma che sia fin troppo vasta.

Intanto il neonato bipolarismo è fra estreme. Codesto è il capolavoro realizzato in ventiquattro anni di consegna dell’elettorato ragionevole al ricatto delle forze irragionevoli.

Nel frattempo invito a dare un occhio alla cartina d’Italia, colorata elettoralmente: fate pure un governo dei pentastellati senza i leghisti, o viceversa, e la penisola si spacca in due. In campagna elettorale misero su una pantomima per sentirsi combattenti del 1945, salvo rischiare di abbattere il 1861.

Davide Giacalone, 8 marzo 2018

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