Accatastare

Accatastare

Nel decreto festivo è previsto uno sgravio fiscale (il cuneo) fatto in deficit. Sgravare a debito è come la droga: dà assuefazione, tolleranza ed è mortale. Non è di destra o di sinistra, è condiviso spendarolismo.

La materia fiscale ha molte tecnicalità, ma è un errore credere che sia pane per i soli denti dei commercialisti. Una delle conseguenze di un sistema infernalmente complicato è far perdere di vista il suo significato. Stabilire a chi, per cosa e quanto togliere, per poi decidere a chi, per cosa e quanto dare, è materia eminentemente politica e risponde all’idea che ciascuno ha di equità. Proporre meno tasse senza aggiungere quali spese tagliare è un raggiro. Abitudine diffusissima.

Maggiori sono le spese, maggiore è il debito che si accumula e maggiore sarà il prelievo fiscale. Pochi italiani (non a torto) hanno creduto alla spending review, ma senza quella la diminuzione della pressione fiscale è una bubbola. Con l’aggravante che il prelievo percentuale sul Pil è molto alto, ma altissimo per chi paga veramente. Si usino le banche dati, incrociandole e favorendo i pagamenti elettronici. Ostacolarli fu uno dei primi errori di questo governo. Non servono anatemi contro il contante, basta agevolare. Nell’incrocio dei dati deve essere assicurata la riservatezza delle faccende private. I soldi miei li spendo dove mi pare. Ma se la presunta privacy impedisce l’incrocio, quello non è un favore a chi vuole farsi gli affari propri ma a chi vuole che i propri li paghino gli altri, agli evasori.

Tassiamo troppo i redditi da lavoro. Per incentivare assunzioni e regolarizzazioni introduciamo sgravi che poi divengono a loro volta distorsivi, modellando il mercato a una convenienza che non è quella produttiva. Per questo il sistema fiscale non si riforma a spizzichi e bocconi, ma in modo coerente e complessivo. Tassiamo poco il patrimonio. Se lecitamente accumulato è frutto di guadagni sui quali sono già state pagate le tasse, ma si giova anche della spesa pubblica: una casa senza fogne perde valore. Basta dire “patrimonio” che già parte l’urlo «Patrimoniale!», ma sbaglia sia chi la demonizza sia chi la adora. La casa del nonno era una e si stava in sette fratelli; quelle del padre erano due e in famiglia quattro in tutto; il figlio ne ha ereditate tre e messo al mondo un solo nipote; il quale vive altrove, in affitto, ma è una piccola potenza immobiliare. In questo modo il patrimonio immobiliare si depaupera e a tutelarlo non serve dire che puoi avere il riscaldamento a carbone. Per valorizzare il patrimonio si deve conoscerlo: serve la revisione del catasto.

Nel 2013 il governo Monti la propose al Parlamento. Fu poi approvata nella legislatura successiva, ma il governo (Renzi) lasciò cadere la delega. Altri dieci anni buttati. Per favorire non i proprietari di casa, in un Paese in cui lo siamo quasi tutti, ma quelli che la casa manco l’hanno accatastata, gli evasori totali e i facoltosi che hanno trasformato in regge (bravi) i palazzetti dei centri storici. S’è fregato il ceto medio che ha comprato casa nuova fuori dal centro, visto che sembrano più ricchi di quelli con l’altana sulla piazza centrale. Lo stesso ceto medio che genera la gran parte del gettito da tassazione sui redditi.

Ci vuole scienza, per occuparsi di fisco, ma serve anche coscienza. A pagare non è il lavoro ma i lavoratori, non è il patrimonio ma i cittadini con un patrimonio. Perlopiù le stesse persone. A quelli che pagano la politica multicolore propone di continuo esenzioni e detrazioni per ingraziarseli – in questo modo accatastando un sistema pazzotico in cui si può essere guidati solo da un buon commercialista – oppure sgravi in deficit, vale a dire tasse future. A quelli che non pagano si offrono due diversi prodotti: da destra, la difesa dalla “persecuzione”; da sinistra, il conforto che i “veri evasori” sono gli altri. E la giostra riparte, con la giugulare della spesa corrente improduttiva aperta e la rivolta fiscale sopita dalle scappatoie.

 

La Ragione

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