60 anni di diffusione del pensiero liberale

60 anni di diffusione del pensiero liberale

Saluti Introduttivi
GIUSEPPE BENEDETTO – Presidente della Fondazione Luigi Einaudi

Intervengono
ILHAN KYUCHYUK – MEP and Alde President
HAKIMA EL HAITÉ – Liberal International President
HIDE VAUTMANS – MEP and European Liberal Forum President

Relatori
ANGELO MARIA PETRONI – Comitato Scientifico Fondazione Luigi Einaudi. La storia della Fondazione Luigi Einaudi
ANDREA CANGINI – Segretario General Fondazione Luigi Einaudi. L’Opera Omnia di Luigi Einaudi al servizio del Paese

Modera
EMMA GALLI – Direttrice Scientifica Fondazione Luigi Einaudi

Conclusioni
OTTAVIA MUNARI – Ricercatrice FLE

Cangemi Editore

 

Discorso del Presidente Giuseppe Benedetto

La giornata di oggi rappresenta un momento cruciale per la Fondazione Luigi Einaudi. Abbiamo compiuto una prima e importante parte del nostro percorso, ma abbiamo ancora tanto da dare in molteplici campi.

Non nego, però, che questa giornata rappresenta un momento particolarmente significativo anche per me: ho intrapreso questo straordinario percorso il 20 gennaio 2016, con due amici e colleghi, Davide Giacalone e Andrea Pruiti, che voglio qui ancora ringraziare. E con loro desidero ringraziare tutti coloro che hanno collaborato e collaborano nella e per la Fondazione, spendendosi con passione, serietà e dedizione per lo sviluppo di questo straordinario spazio in grado di stimolare la curiosità e il pensiero critico, lasciando in disparte retorica e tifoserie.

A distanza di sette anni possiamo essere certamente fieri e grati di ciò che tutti noi abbiamo costruito e credo che la recente nomina di Andrea Cangini a Segretario Generale della Fondazione rappresenti il continuum del percorso di questi anni e, al contempo, l’auspicio di un lavoro ugualmente fruttuoso, ricco e soddisfacente per gli anni che verranno.

Vista l’importanza della giornata, mi sono dunque a lungo domandato quale fosse il modo migliore per celebrare questi primi sessanta anni della Fondazione che mi onoro di presiedere e di rappresentare. Ho pensato che avrei potuto ricordare quanto è stato fatto in molteplici ambiti, dalla sua costituzione il 10 dicembre 1962 per volere di Giovanni Malagodi, fino ad oggi: quali traguardi sono stati raggiunti e quali battaglie di civiltà sono state portate avanti.

Cercherò, anche in parte, di farlo, ma in una chiave diversa, che spero possa dare il senso dell’altezza e del prestigio del nostro incontro di oggi. Ho pensato di leggere quello che è stato il significativo trascorso della Fondazione con una lente rivolta verso il futuro: qual è il senso, oggi, nel contesto attuale, di un Istituto Culturale di pensiero liberale come la Fondazione Einaudi ? Soprattutto, quali strade può ancora intraprendere una Fondazione come la nostra nel quadro sociale, economico e culturale di oggi ?

Quello che proverò a fare è fornire alcuni stimoli a partire dai risultati che sono stati raggiunti per interrogarsi su quanto c’è ancora da fare.

Certamente possiamo rinvenire una costante, un perno attorno al quale muovere tutte le considerazioni che verranno, ossia la passione – sempre la stessa – con cui la Fondazione Luigi Einaudi rappresenta e diffonde da sessant’anni il pensiero liberale. Quello stesso pensiero einaudiano che è in grado di illuminare, con una straordinaria, disarmante, attualità, il presente ma anche il futuro e le scelte che saremo chiamati a compiere.

Quante volte Presidente Einaudi abbiamo detto dei suoi articoli sul Corriere della Sera “ma questo pezzo lo ha scritto stamani”? In realtà è il suo pensiero ad essere attualissimo e noi, la sua Fondazione, fatichiamo a starLe al passo.

Molto però è cambiato negli ultimi anni. La Fondazione ha necessariamente dovuto mutare pelle per adattarsi ad un nuovo contesto sociale e culturale. Non si tratta solo del cambiamento necessario che ha riguardato i nuovi strumenti di comunicazione. I social, dove, peraltro, la Fondazione Luigi Einaudi sta riscuotendo un notevole successo, sono sicuramente divenuti un formidabile strumento di diffusione del pensiero.

Parlo però di un cambiamento più ampio, rispetto al contesto politico: la Fondazione, costituita e sviluppata per molti anni come pensatoio del Partito Liberale Italiano, si è progressivamente trasformata in un centro di studi e ricerca in grado di raccogliere l’intero mondo liberale. Mondo per troppi anni lasciato sguarnito, invece, da un partito di riferimento nel Parlamento italiano. Circostanza questa che ci ha portato a volte anche ad un’opera di supplenza, senza mai trasbordare nella politique politicienne. Rappresentiamo il pensiero liberale in tutta la sua complessità, senza attardarci nelle etichette di destra, sinistra o centro. Questo certamente non si traduce in un’assenza di punti di riferimento, anzi nell’esatto contrario: ne è la migliore testimonianza la contestuale presenza qui tra noi della Presidente dell’Internazionale Liberale Hakima El Haité e del mio amico Ilhan Kyuchyuk Presidente dell’ALDE. Con loro, di sponda con i gruppi liberali di respiro europeo e internazionale, la Fondazione ha sovente colmato quella lacuna tutta e solo italiana, confrontandosi direttamente con gli interlocutori istituzionali, a cominciare dal Governo.

Faccio riferimento, in particolare, alla richiesta che abbiamo rivolto al secondo Governo Conte di rendere pubblici i verbali del Comitato Tecnico Scientifico durante la fase più dura della pandemia. Questo ha rappresentato – e rappresenta tutt’ora – uno straordinario traguardo non solo e non tanto per la Fondazione, ma per tutti i cittadini, in quanto si tratta di una battaglia di civiltà. Le misure restrittive delle libertà fondamentali che sono state adottate durante la pandemia, pur in qualche modo comprensibili, hanno inevitabilmente portato a galla un’espansione preoccupante dei poteri del Governo a fronte, invece, di un’eccessiva contrazione del ruolo del Parlamento. La battaglia di trasparenza, che, come Fondazione, abbiamo sostenuto, si è successivamente tradotta, oltre che nella pubblicazione (sia pur tardiva) degli atti che avevamo chiesto, anche in una svolta nella gestione della pandemia, quantomeno sotto il profilo della dialettica tra Governo e Parlamento.

Credo però che l’attività della Fondazione sia stata un importante antidoto anche per quella politica demagogica e populista che in questi anni ha trovato terreno fertile in Italia e non solo. Ne è stato un esempio lampante il referendum per la riduzione lineare del numero dei parlamentari. Una simile sciempiagine, presentata come una mera riduzione dei costi della politica e al contempo come strumento per garantire l’efficientamento delle Camere, in realtà cela conseguenze assai rischiose in termini di rappresentanza politica e di democrazia stessa. Conseguenze che solo in parte si sono mostrate all’inizio di questa legislatura, ma che saranno destinate ad emergere sempre più. Il cd. “taglio dei parlamentari” ha degli effetti che non sono stati scientemente valutati ex ante, anzi forse del tutto ignorati, finendo per banalizzare problemi complessi che avrebbero richiesto una più ampia riflessione.

A ciò si aggiunga che anche l’iter parlamentare è stato fortemente influenzato dalle pressioni mediatiche del dibattito pubblico, che hanno reso complessa anche la costruzione di ragioni alternative rispetto a quelle populiste che erano state utilizzate. La Fondazione ha fin da subito promosso una serie di attività finalizzate ad evidenziare le storture di quella riforma che si traducono, a voler semplificare, in un depauperamento in termini di pluralismo politico. La strada del referendum era concretamente l’unica praticabile e noi lo abbiamo promosso e sostenuto da soli. Tutti i partiti, nessuno escluso, dall’estrema destra all’estrema sinistra, erano intimoriti e costretti a difendere le ragioni dell’ insensatezza populistica. Anche a fronte di una vittoria del SI’,chiaramente annunciata, abbiamo lavorato, comitato dopo comitato, con una straordinaria partecipazione popolare, a favore del parlamentarismo, del principio di rappresentanza e, quindi, del ruolo centrale del Parlamento. Quel Parlamento cuore della democrazia, come ancora oggi ci ricorda Luigi Einaudi.

Risultati alla mano, possiamo senz’altro dire che quella battaglia è stata vinta: all’inizio del percorso, la vittoria del Sì era data con percentuali bulgare, mentre l’esito del voto ha dimostrato un orientamento tutt’altro che plebiscitario in favore della riduzione del numero dei parlamentari. Il fatto che più del 30% degli italiani abbia dimostrato la propria contrarierà rispetto a quel progetto è certamente un risultato storico e per noi rappresenta una battaglia vinta e un segnale per il futuro, perché è stata la dimostrazione lampante che, attraverso un’adeguata forma di partecipazione al dibattito pubblico, è possibile discutere e riflettere in maniera critica.

È quello che abbiamo cercato di fare anche nel caso del referendum dello scorso giugno sulla giustizia. In particolare, proprio questo referendum ha messo in luce un dato da tenere in considerazione: pur nel solco del risultato ampiamento previsto, il quesito sulla separazione delle carriere è quello che ha ottenuto i maggiori consensi ed è proprio a partire da questo dato che è necessario riflettere per andare nella direzione auspicata in “Non diamoci del tu” il mio libro presentato ieri da Cassese, Nordio e Migliucci. Siamo consapevoli, infatti, della non idoneità dello strumento referendario per approcciarsi a questo delicato tema, proprio perché la separazione delle carriere, per essere piena ed effettiva, necessita di un intervento sul testo costituzionale.

Anche, ma ovviamente non solo per questo, come Fondazione auspichiamo un intervento organico sull’intera seconda parte della Costituzione. Questa speranza non rappresenta solo il punto di vista della nostra Fondazione. Apparirà sempre più opinione preponderante nel dibattito pubblico la necessità di una revisione complessiva della seconda parte della Costituzione.

La Costituzione che era stata disegnata dai padri costituenti non è più in grado di rispondere agli stimoli e soprattutto alle sfide di una realtà politica, sociale e culturale in continua accelerazione. Ciò non comporta l’abbandono in toto di quello che è l’impianto attuale, ma costituisce la necessità di una rimodulazione impellente se si vuole garantire l’efficacia e l’efficienza dell’azione pubblica, condizioni essenziali per garantire la tutela delle libertà e dei diritti dei cittadini. In alti termini, quello che auspichiamo è una riforma che tenda non ad oscurare né a cancellare quello che è stato fatto in Assemblea costituente, bensì a valorizzarlo ulteriormente.

Intervenire con una riforma costituzionale, dunque. Sì, ma con quale strumento? Riteniamo che l’unica strada percorribile sia un’Assemblea elettiva e non invece la strada rappresentata da Commissioni bicamerali, che in più occasioni hanno dimostrato di non essere adeguate allo scopo perseguito. Numerose ne sono state istituite e altrettanto numerosi sono stati i fallimenti registrati.

E siccome in Fondazione Einaudi alle riflessioni, seguono le proposte e poi i fatti, siamo intervenuti concretamente, predisponendo un disegno di legge costituzionale proprio per istituire un’Assemblea elettiva di riforma della Parte II della Costituzione, in deroga all’art. 138. Colgo l’occasione, a tal proposito, per lanciare un appello ai Parlamentari di tutti i gruppi politici a sottoscrivere questa nostra proposta, che ha la caratteristica di essere trasversale, perché non si concentra su un dato di merito, ma attiene, appunto, “alle regole del gioco”. La dialettica politica sul merito delle riforme è indispensabile – e, in questo, certamente non vogliamo sostituirci in alcun modo ai partiti – ma si colloca necessariamente in un momento successivo. In questo Paese, invece, c’è un gran bisogno di mettersi d’accordo sulle regole con cui si vuole giocare, anche con i necessari compromessi, prima di operare qualsiasi considerazione sul merito. Dobbiamo trarre insegnamento da quelle parole di Amos Oz che mi colpirono profondamente quando le ho lette “il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso e fanatismo, morte”.

E allora, per tornare all’interrogativo con cui ho aperto questo mio intervento, la Fondazione Luigi Einaudi serve anche a questo, perché quello che abbiamo sempre cercato di fare è non far venir meno il nostro contributo, ma, anzi, stimolare il dibattitto e la riflessione su questi temi, che diventano cruciali se vogliamo approcciarci al meglio – e superare – le delicate e complesse sfide di questi anni.

Ma la Fondazione è anche – e soprattutto – altro, tanto altro. A partire dal ruolo di centro culturale che abbiamo costruito nel corso degli anni e che tengo a rivendicare anche in questa sede. Per ragioni di tempo non posso soffermarmi sulle singole iniziative e sulle specifiche attività che abbiamo traghettato nel nostro percorso. Ricerche, pubblicazioni, studi, convegni, presentazione di centinaia di libri e susseguenti discussioni.

La gloriosa Scuola di Liberalismo che ci inorgoglisce e che ogni anno, da quarant’anni, vede coinvolti e protagonisti centinaia di Studenti.

Ma, poiché non posso tirarla per le lunghe voglio ricordare una sola iniziativa, tra le più recenti.

Il perché proprio quella lo comprenderete ascoltando l’ultimo intervento di questa giornata.

Il lavoro in questione è esemplificativo del nostro modus operandi. Trarre il meglio dalla nostra storia, approfondire, anticipare i tempi. Oggi si parla di merito nella scuola. Noi per le verità ne parliamo da sempre, non solo per la scuola.

Ma con questa nostra ricerca ci siamo soffermati proprio sulla scuola e più precisamente sulla “Scuola della libertà e del merito” incentrata sull’abolizione del valore legale del titolo di studio. Ne abbiamo fatto una pubblicazione a quattro mani di due nostri eccellenti ricercatori, Ottavia Munari e Andrea Davola e curata da Giancristiano Desiderio. In sostanza crediamo che l’unica vera riforma dell’istruzione sia quella indicata da Luigi Einaudi prima e da Salvatore Valitutti poi: l’abolizione o svalutazione del valore legale dei titoli di studio. Solo se l’ordine degli studi verrà svincolato dal monopolio pubblico del sapere e dell’educazione e dal rilascio del “pezzo di carta”, si potrà avere il sistema della “scuola libera”, non invece prigioniera di una serie incessante di riforme che vanno a toccare tutto, ma non la reale formazione degli studenti. Interrogarsi su quale modello di scuola è maggiormente rispondente alle esigenze di questo momento storico rappresenta la condicio sine qua non per avviare qualsiasi tipo di riflessione di più ampio respiro sui giovani e sul loro ruolo nella nostra società.

Finisco qui, senza commozione. Perché il momento è importante ma la Storia, la gloriosa storia della più antica Fondazione italiana, continua.

E allora chiudo con una esortazione, che è anche un monito per i miei amici, colleghi e collaboratori che quotidianamente affliggo e che non posso citare uno ad uno: voglio ricordar loro che sono siciliano e dunque devono comprendere perché da cultore del pensiero sciasciano anche io “in solitudine e dunque in definitiva nevroticamente, in questi 7 anni ho finito con l’acquisire una specie di nevrosi da ragione, di una ragione che cammina sull’orlo della non ragione” come ci ricordava Leonardo Sciascia.

Insomma non sono pazzo, ma quasi.

Saprete perdonarmi !

Giuseppe Benedetto

 

Discorso del Segretario Generale Andrea Cangini

Essendo io di recente nomina ed essendo questa una delle mie prime uscite pubbliche nel ruolo di Segretario generale della Fondazione Luigi Einaudi, lasciatemi dire, e lo dicono col massimo dell’onestà intellettuale e il minimo della retorica, che assumere una funzione così importante in una così importante istituzione culturale del Paese è per me un grande onore è una grande responsabilità.

Considero sia anche un grande onere, perché grande è il lavoro che ci attende. Un lavoro quanto mai necessario.

Siamo, letteralmente, all’Anno Zero della politica interna italiana e dell’ordine geopolitico mondiale. Mai come oggi la scena pubblica occidentale è battuta dai venti dalla demagogia e dallo statalismo. Mai come oggi ci sarebbe bisogno di una bussola morale e di una cultura politica ed economica pienamente liberali. Ma quei luoghi e quelle istituzioni storicamente deputati a svolgere questo fondamentale lavoro di elaborazione culturale e politica appaiono irrimediabilmente in crisi. Sono in crisi i partiti politici, è in crisi l’editoria, sono in crisi, di funzione e di legittimità, persino i parlamenti nazionali. Spetta, dunque, ad istituzioni come la Fondazione Luigi Einaudi svolgere un necessario ruolo di supplenza. Un ruolo che non è esagerato definire storico.

Nella cassetta degli attrezzi di Luigi Einaudi troviamo tutto ciò di cui l’Italia ha oggi bisogno: il ruolo preciso dello Stato rispetto alla persona, alla società, al mercato e soprattutto all’Europ, quell’Europa la cui necessaria unità Luigi Einaudi precide già sul finire dell’Ottocento; l’attenzione ai conti pubblici; l’etica della responsabilità personale; il realismo, e quindi lo studio minuzioso e razionale dei problemi finalizzato all’individuazione di soluzioni ragionevoli; l’importanza della “discussione” e del “compromesso”, per usare due parole ricorrenti nel lessico einaudiano.

Luigi Einaudi è stato un profeta, forse l’ultimo dei grandi profeti che hanno costellato la storia economica, politica e intellettuale dell’Italia. Una storia iniziata con diversi secoli di anticipo rispetto alla nostra, tardiva, Unità nazionale.

È per questo che accedere alle fonti del suo pensiero è oggi più che mai nececessario. È per questo che considero la digitalizzazione dell’opera omnia einaudiana che presentiamo formalmente oggi uno straordinario servizio non tanto alla memoria di Luigi Einaudi, quanti al presente e al futuro della nazione. Nonché, aggiungerei, al presente e al futuro dell’Europa, dell’Occidente e di conseguenza del mondo.

Ho sempre guardato agli archivi come ad una cosa viva. Come ai serbatoi della Cultura attraverso i quali di alimentano i motori della Storia secondo quell’ordine, profondamente cartesiano, teorizzato dallo stesso Einaudi: conoscere, poi dibattere, infine deliberare. Per conoscere Luigi Einaudi, e di conseguenza per metter mano di volta in volta agli attrezzi einaudiani utili per sciogliere i nodi del presente e costruire un’idea di futuro, mettiamo oggi a disposizione del ceto politico, degli studiosi e dei cittadini comuni l’opera omnia einaudiana accessibile con un click. Basta collegarsi al sito luigieinaudi.it, raggiungibile anche dal sito della Fondazione fondazioneluigieinaudi.it

Vi troverete:

  • Una sezione biografica con foto e immagini d’epoca
  • Una sezione dedicata a quello che diverse personalità della repubblica “hanno detto di lui”
  • Un’utilissima “guida alla lettura” con i rimandi diretti alle opere che più di altre rappresentano il baricentro del pensiero economico e politico einaudiano: il debito pubblico, il ruolo dello Stato, la politica industriale, la giustizia tributaria…

Sezione a sua volta introdotta da 10 “percorsi di lettura” suggeriti da autorevoli studiosi. Percorsi che vanno dalle teorie sull’unificazione europea al meno noto rapporto tra “Einaudi e i libri”

Con un ultimo click raggiungerete il cuore del sito, “la biblioteca digitale”. Dove troverete, precedute dalla riproduzione delle copertine originali, i testi dei libri firmati da Luigi Einaudi: dalle sconfinate “Cronache economiche e politiche di un trentennio”, alle “Prediche”, alle “Prediche inutili”, al “Buongoverno” e via elencando

C’è tutto. Tutto quello che è oggi disperso in archivi o fondi difficilmente accessibili. Tutto quello che, purtroppo, non è più possibile trovare in libreria. C’è tutto. Tutto tranne la corrispondenza privata, che avrebbe richiesto una diversa impostazione filologica del sito.

Sono state previste tre modalità di ricerca: cronologica, per tipologia bibliografica (e di ogni testo sono regolarmente indicati il luogo della prima pubblicazione e le successive ristampe), per parole chiave. Considero “straordinaria” la possibilità di fare ricerche per parole chiave.

Personalmente, la prima parola che ho cercato è stata “libertà”. Sono apparse ben 5 pagine di fonti e relativi link: il primo risultato è un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 13 aprile del ‘48 (una feroce critica al monopolismo e al collettivismo comunista), l’ultimo è un discorso parlamentare del ‘46 intriso di citazioni risorgimentali e di umanitarismo mazziniano.

Chi è curioso del pensiero einaudiano, compulsando questo sito troverà soddisfazione ad ogni propria curiosità. Chi è alla ricerca di chiavi di lettura del tempo presente, in questo sito troverà tutto ciò di cui ha bisogno.

Si tratta, ci tengo a dirlo, di un work in progress. Perché non c’è limite ai contenuti che possono essere aggiunti al sito. Perché è nostra intenzione dar vita ad un sito speculare in lingua inglese. Perché quella liberale non è un’ideologia, ma è un metodo.  Un metodo inesauribile che può e deve essere applicato in ogni tempo e in ogni contesto e che non conosce obiettivi o approdi finali.

Un metodo che noi della Fondazione Luigi Einaudi utilizziamo quotidianamente sui due fronti che più ci vedono impegnati: la diffusione del pensiero einaudiano e l’attività di ricerca e analisi economiche, politiche e sociali.

Andrea Cangini

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