1938 – 2022

1938 – 2022

Putin ha adottato la condotta che fu di Hitler nel 1938, alla Conferenza di Monaco: è un mio diritto, sostenne il dittatore tedesco, prendere i Sudeti, che sono della Cecoslovacchia, perché parlano il tedesco, sono tedeschi, sono parte della Germania e questo vuole il popolo, se non lo consentirete sarà subito guerra, lasciatemi fare, invece, e avrete la pace. Mettete il Donbass al posto dei Sudeti e l’Ucraina al posto della Cecoslovacchia. Il quadro è lo stesso. Nel 1938 furono Francia e Regno Unito a commettere l’errore di credere potesse salvarsi la pace. Per la verità né Daladier né Chamberlain ci credettero veramente. Il primo guardò con compatimento le folle che lo acclamarono, essendogli già chiaro che la pace non era salva per niente. Il secondo sperava, mostrando di credere alla firma di Hitler, di avere posto le premesse per dimostrare che si trattava di un bugiardo. Sai che paura.

Non commettere il loro errore del 1938 non significa necessariamente aprire la guerra nel 2022, ma comporta il sapere che la guerra c’è già e che la pace non può essere preservata, semmai riconquistata. La Russia va isolata e indebolita economicamente, l’Ucraina va aiutata, non si potrà più permettere a Putin di mettere le mani dentro le nostre democrazie, aiutando quinte colonne, nel mentre noi ci si limita a deprecare che ammazzi e arresti tutti i suoi oppositori. E questa non è pace.

Le sanzioni economiche, perché non siano ipocrisia, devono essere dure. Se saranno dure recheranno un danno considerevole alla Russia, ma danneggeranno anche noi. Questo cambia molte carte sul tavolo. Un pezzo delle nostre spese pubbliche sarà assorbito per reggere quel fronte. Una quota d’inflazione sarà generata dallo scontro. Le Borse non festeggeranno, sebbene c’è sempre chi trarrà vantaggio. Gli obiettivi del Green Deal, a essere ottimisti, subiranno un ritardo. Non ce la siamo cercata, non ne siamo responsabili, ma sarebbe cieco non mettere in conto queste (ed altre) conseguenze.

I mercenari della Wagner potrebbero arrivar in Donbass. Questo aumenterebbe considerevolmente, essendo meno controllabili, il pericolo di incidenti cercati, con fuoco e morti. Comporterebbe, però, un alleggerimento in Libia e in Siria. Si deve essere pronti a trovare un equilibrio con la Turchia, per riprendere il controllo di quelle aree. Certo che non è bello e che con Erdogan non è gradevole danzare, ma si è in ballo. La Cina deve essere tenuta distante dalle azioni della Russia, il che comporta non fare un’equivalenza fra Ucraina e Taiwan. Doloroso, forse anche ripugnante, ma agire in modo diverso è un regalo che Putin non merita. La Cina resta un antagonista globale degli interessi occidentali, con il quale si può e si deve convivere senza per questo concedere. Ma oggi è la Russia a violare l’ordine internazionale, a minare il concetto stesso di Stato e sovranità, su cui quell’ordine si regge. Ad un tavolo da gioco si può vincere o perdere, purché la partita continui. Si può anche far finta che l’altro non sia un baro, contando su altri propri punti di forza. Ma se l’altro spara anziché dare le carte non è possibile continuare. Va fermato. Va sconfitto. E questa non è pace.

Non commettere l’errore del 1938 significa questo: non credere un solo istante che basti non sparare per considerarsi in pace; rendersi conto che non sarà una faccenda breve; capire che un diverso equilibrio, anche nell’approvvigionamento di gas, non è questione di tamponamento, ma di ristrutturazione profonda del mercato. Tutta roba costosa e dolorosa.

Putin non è eterno e anche in Russia esistono articolazioni interne. Lui ha voluto riprecipitarci in un mondo che precede il 1989, il crollo del muro di Berlino, inseguendo il sogno di ricreare l’impero. Che non sia più colorato del rosso comunista conta niente. Salvo che per riconoscere i suoi venduti fiancheggiatori, in casa nostra, non basterà guardare il colore della bandiera che sventolano.

La Ragione

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