Tito Boeri e Roberto Perotti: All’Italia serve concretezza

Tito Boeri e Roberto Perotti: All’Italia serve concretezza

La concretezza che manca all’Italia.

Dietro alla ostinata resistenza del Paesi frugali ad un accordo sul Recovery Fund ci sono due fenomeni che in Italia vengono interpretati nel modo sbagliato. L’Italia si è miracolosamente ricompattata nel vittimismo, convinta che i Paesi nord-europei fossero indifferenti al nostro dramma.

La realtà è che gran parte dell’opinione pubblica di quei Paesi, a destra come a sinistra, non si fida dei politici italiani: anzi, a torto o a ragione, li disprezza. Questo il termine corretto, e usarne altri non aiuta a comprendere il problema. E, per onestà intellettuale, è un disprezzo che va indietro nel tempo: non stiamo parlando solo dei politici italiani attuali. Secondo un recente sondaggio, il 45 percento dei tedeschi pensa che i problemi della pandemia in Italia e Spagna siano «principalmente dovuti al malgoverno». In Olanda anche i giornali più europeisti, come il Volkskrant, hanno sottolineato come la linea dura di Rutte fosse fortemente sostenuta dall’opinione pubblica.

In Danimarca il Politiken, di ispirazione socialdemocratica, ha pubblicato una vignetta con Conte, un cardinale e un mafioso che dice a Conte: “0k, noi prendiamo il 40%, voi il 50% e quello che resta lo date alla popolazione”. Ovviamente un banale stereotipo di pessimo gusto, ma rende l’idea del clima in quei Paesi. Tre primi ministri su quattro del Paesi frugali sono socialdemocratici, non estremisti nazionalisti e anche se (forse) non condividono questo disprezzo, non possono ignorarlo. E non illudiamoci: dopo l’accordo sul Recovery Fund sarà peggio, perché gran parte dell’opinione pubblica nordica è ancora più irritata, avendo percepito il “regalo” all’Italia come una ingiustizia imposta dall’Europa per motivi di realpolitik (l’olandese De Telegraaf lunedì titolava: “Mr. No Rutte dice sì al debito”).

Il secondo fenomeno male interpretato in Italia è la questione dell’austerità. Secondo una posizione quasi unanime, avremmo vinto quasi da soli la battaglia contro l’austerità propugnata da gran parte d’Europa. Ma i Paesi nordici non si battevano per l’austerità di per sé con varie sfumature, erano d’accordo sull’idea di un grande piano di stimolo. Avevano e hanno però dubbi sull’affidare un fiume di denaro a un Paese che oggettivamente non è noto per la sua capacità di gestire le finanze pubbliche. Mettiamoci nei loro panni: è così strano preoccuparsi che i soldi dei propri elettori non siano usati per finanziare operazioni incomprensibili all’estero come quota 100, i concorsi per i navigator, o per farsi un bel taglio alle tasse mentre lo stato continua a spendere come prima o più di prima? Anche su questi temi c’era un supporto molto diffuso.

Per De Telegraaf, Rutte faceva bene a richiedere che i Paesi del Sud mettessero prima la loro casa in ordine, a partire dall’innalzamento dell’età pensionistica. In Danimarca editoriali del conservatore Berligske hanno fatto ripetutamente notare che i danesi dovranno lavorare fino a 70 anni per pagare chi va in pensione a 60 anni. Date queste premesse, se vogliamo rimanere costruttivamente nella Ue (cosa non più scontata: il 42 per cento degli Italiani vuole uscirne, e probabilmente qualche straniero non si strapperebbe i capelli se ne uscissimo) d’ora in poi dovremo avere un atteggiamento diverso. Tanto più che l’accordo deve ancora essere ratificato da tutti i Parlamenti nazionali, e nel Paesi federali anche da quelli regionali. Ciò significa anche più professionalità nei rapporti con i partner europei. Purtroppo abbiamo iniziato con il piede sbagliato. Siamo stati l’ultimo Paese a presentare il Piano Nazionale di Riforme, il 6 luglio, e non lo abbiamo ancora inviato a Bruxelles. È verboso come gli Stati Generali: tante vaghe dichiarazioni di principio, molto fumo e pochissimo arrosto. C’è di tutto e di più: la riforma fiscale, la lotta all’evasione, lo sport e il familyact è un programma di legislatura che ha poco a che fare con il Recovery Fund  e le raccomandazioni della Commissione che saranno determinanti per l’accesso ai fondi. Eppure un Pnr ben fatto ci avrebbe rafforzato nel negoziato con l’Europa, che voleva essere rassicurata sulla nostra capacità di spendere bene le risorse; e sarebbe stato uno strumento per cambiare gli stereotipi diffusi sulla qualità della nostra disse dirigente.

Il Pnr olandese è molto più breve di quello italiano e va subito al dunque. Riprende alla lettera, uno per uno, i rilievi della Commissione e si sforza di documentare come l’azione del governo olandese ne tenga conto. È una questione sia di forma che di sostanza: segnala attenzione nei confronti del partner europei. E l’Olanda è, al contrario dell’Italia, in una posizione di forza.

Se non vogliamo buttare a mare l’opportunità che ci viene offerta, dovremo prima di tutto cambiare metodo e atteggiamento: decidere come spendere i soldi prima di chiederli, e capire che in Europa gli standard sono diversi da quelli che possiamo permetterci tra le mura domestiche. La sostanza c’è o non c’è: i nostri partner non abboccano all’approssimazione, alla fumosità, alla verbosità come metodo di lavoro.

Tito Boeri e Roberto Perotti

La Repubblica, 24/07/2020

 

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