Stefano da Empoli

Stefano da Empoli

“I miei ricordi della Scuola di liberalismo sono inevitabilmente influenzati dall’esservi arrivato da figlio di uno dei docenti della prima ora. Non è un caso che giunsi alla Scuola, ancora minorenne, insieme ad Alberta Martino, figlia di Antonio, di poco più grande. Insomma, ci facemmo coraggio insieme, nell’affrontare docenti e organizzatori, inevitabilmente amici dei rispettivi padri, e studenti come noi, che, oltre a poterci imbarazzare con i loro giudizi sui nostri genitori, ci avrebbero potuto vedere in una luce diversa, non necessariamente gradevole. Il risultato fu decisamente migliore delle aspettative. Forse complice il genius loci (il Teatro della Scaletta, con le sale di prova e i costumi di scena, il suo essere a pochi metri dalla Roma che conta), le idee liberali, che avevo la fortuna di avere appreso già in casa, acquistavano un nuovo fascino. E, soprattutto, incredibile a dirsi per un liceale della Cassia come me, potevano diventare oggetto di infinite discussioni con dei coetanei o quasi-coetanei.

Nella Scuola, nacquero molti rapporti di amicizia e di conoscenza, non pochi dei quali sono sopravvissuti all’inevitabile erosione del tempo e ai diversi percorsi, anche geografici, intrapresi successivamente. In più, il metodo socratico di discussione della Scuola, almeno di quella Scuola, lo portai con me nelle esperienze successive. A cominciare dalla breve ma intensa parentesi di politica attiva, quando promuovemmo con Nicola Porro e altri giovani militanti della Gioventù Liberale italiana un cenacolo serale che si alimentava degli stessi mostri sacri del liberalismo e in parte delle stesse persone che affollavano il teatro in miniatura di via del Collegio Romano.

Non sempre ritrovai lo stesso spirito interattivo, da università americana più che da tipico corso italico, in alcune delle frequentazioni della Scuola che feci in tempi più recenti. Notai anche un aumento dell’età media dei frequentanti. Era, forse, la conseguenza dell’implosione della grande eccitazione dei primi anni Novanta, quando il liberalismo era di minoranza ma si preparava, secondo molti di noi, a diventare maggioranza; oppure delle condizioni di contesto culturale oggettivamente cambiate (queste per fortuna in meglio): la pubblicazione in italiano di tanti classici del liberalismo, la nascita di think tank liberali se non libertari, che promuovono iniziative simili, l’ascesa di Internet, che consente di apprendere e interloquire senza bisogno di intermediazioni.

Tuttavia, mi pare di poter dire che non è affatto semplice riprodurre negli schemi odierni, magari più moderni e aggiornati ma anche più dogmatici, la dialettica davvero aperta, nel senso popperiano del termine, della Scuola di Liberalismo. Tra tutte cito l’eterna querelle tra liberali di sinistra e di destra (per semplificare, tra seguaci di Dahrendorf e Hayek). Che oggi non trova un vero luogo di confronto. Chissà che questa non possa tornare ad essere la vera ragione d’essere della Scuola nei prossimi anni e decenni. Per far discutere chi viene da posizioni diverse, e magari non le cambia, almeno nel breve periodo, ma ne esce arricchito di un bagaglio culturale e argomentativo di valore inestimabile. In altre parole l’essenza del liberalismo laicamente inteso.”

Stefano Da Empoli (Presidente di I-Com, Istituto per la Competitività)

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