Scampagnata

Scampagnata

In democrazia è giusto che politici e forze politiche puntino al consenso, a raccogliere i voti. I voti raccolti, poi, servono a produrre risultati politici. Nel caso se ne siano raccolti la maggioranza, traducendo in atti di governo le proprie idee; nel caso se ne sia raccolta la minoranza, contrastando il governo e contrapponendo le proprie proposte ai suoi atti. Poi si organizzerà una nuova campagna elettorale, per verificare chi ha fatto meglio il lavoro e avrà più consensi. La politica s’imbastardisce quando le cose funzionano al contrario e la campagna elettorale non è lo strumento per poi costruire politica, ma lo scopo stesso dell’esistenza del politico e dei partiti. Siamo ai primi di settembre, ma ogni cosa viene calibrata per le elezioni europee del prossimo giugno. Mancano nove mesi. Una gravidanza, che si annuncia isterica. Quando si sarà votato nessuno si ricorderà più chi è stato eletto e che diamine fa al Parlamento europeo, ma si sarà giocata la grande partita degli equilibri politici. Dove? Ma è ovvio: dentro la coalizione di destra e dentro la coalizione di sinistra. L’interesse sta nella faida familiare. I soli che si distinguono sono quelli del Terzo polo, che hanno astutamente deciso di perdere le elezioni prima ancora di arrivarci, sterminandosi.

La cosa grottesca è che i temi decisivi della politica interna sono in gran parte europei, mentre i temi portanti nella campagna europea sono interni. Veniamo alle cose, che altrimenti ci perdiamo nel politichese. A giorni dovrà essere presentata la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza; poi, a ruota, la legge di bilancio. L’impostazione dei due documenti dipende non soltanto dal presente contesto dei conti nostri ed europei, ma da come saranno strutturate le compatibilità di bilancio dal primo gennaio prossimo. Tema di sicura consistenza. Ma neanche ne parliamo, nel merito, perché tanto la partita sarà: da una parte chi governa e vorrebbe continuare a farlo (diciamo Meloni e Giorgetti), che pertanto non intende creare turbolenze e sa che gli sfondamenti sfondano i governi; dall’altra chi è al governo ma non vuole continuare a starci contando meno della metà dei più forti (diciamo Salvini) e quindi userà i vincoli di bilancio, ribattezzati vincoli europei, per proporre di sfondarli tutti. Dall’opposizione sarebbe ragionevole attendersi la messa in luce di questa contraddizione e il tentativo di porre in difficoltà il governo, denunciando ogni spesa azzardata e ogni tassa insensata. Invece la gara consiste nel vedere se a far concorrenza a Salvini e non a Meloni riuscirà meglio la fu sinistra o il fu movimento.

Altro esempio: nel mentre procede ad acquisti di azioni in società private (rete Tim) il governo, per bocca di Giorgetti (leghista), dice che lo Stato mica compra soltanto, potrebbe anche vendere. Fra le cose sicuramente in vendita c’è Monte dei Paschi di Siena dove lo Stato entrò per un salvataggio, che si sarebbe già dovuto vendere, che va venduto entro il 2024 e che conviene farlo perché è stato rimesso in ordine. Ma non aveva finito di dirlo che Salvini (stesso partito) s’opponeva. Ha in mente un altro disegno per Mps? No, sa che c’è il vincolo del 2024 e violarlo serve a mettere in difficoltà il vero avversario: Meloni.

Una campagna elettorale lunghissima e con le parole che manco s’avvicinano alle necessità del governare. Tutto questo funziona perché chi oggi è al governo ci è arrivato raccontando il contrario di quello che fa e chi oggi è all’opposizione sostiene il contrario di quello che fece. Ma questa non è una scampagnata democratica: è un festival dell’irresponsabilità che ha costruito un sistema nel quale si definisce “maggioranza” l’alleanza di minoranze in perpetuo conflitto fra loro, ma prevalenti. Non a caso, quando pensano alle riforme costituzionali, puntano a ingabbiare le maggioranze, scambiando la rigidità con la stabilità. Ma il trasformismo non è soltanto cambiare schieramento, è anche dire una cosa e farne un’altra.

La Ragione

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