Ripetizioni in nero, evasione da 800 milioni

Ripetizioni in nero, evasione da 800 milioni

Ricerca della Fondazione Einaudi: metà degli studenti fa lezioni private La spesa media è di 1600 euro. Ma 9 insegnanti su 10 non ci pagano tasse

Milleseicento euro l’anno di ripetizioni a pagamento. Tanto investe una famiglia italiana per far recuperare al proprio figlio, che frequenti il liceo od altri istituti superiori, le carenze in una materia. Se a prendere insufficienze che si traducono in debiti da recuperare, dunque in materie scolastiche non di scarso valore per un determinato corso di studi, sono almeno uno studente su due delle superiori, allora bisognerebbe interrogarsi sulla validità dei metodi didattici e un dubbio sorge spontaneo, manifestando il fallimento della scuola italiana. La metà degli studenti delle scuole superiori dichiara infatti di avvalersi di ripetizioni private oltre l’orario scolastico. Un esercito di 500 mila ragazzi che spende 27 euro a lezione. Numeri che non si registrano nel resto d’Europa e del mondo. Se contiamo che per recuperare la sufficienza uno studente necessita mediamente tra le 50 e le 70 ore di lezioni private, tradotte in due ore a settimana per 25-30 settimane (6 mesi), arriva a sborsare 1620 euro all’anno ed il giro d’affari per gli operatori diventa allettante. Numeri estratti da un sondaggio effettuato dalla Fondazione Einaudi sul mercato delle ripetizioni private, peraltro sommerso, e molto fruttuoso, con un giro d’affari che si aggira intorno agli 810 milioni circa di euro, ma che va a pesare sul bilancio di una famiglia italiana per 1620 euro all’anno. Infatti il 90% delle lezioni private non sono dichiarate al fisco. Calcolando dunque la media di 3 ore di ripetizioni a settimana, si tratta di un esborso mensile pari a circa 324 euro, cifra che sale nei mesi di agosto e settembre, quando le ore di lezione si moltiplicano per recuperare debiti in vista degli esami di riparazione, che attendono gli studenti a settembre.

Un mercato sommerso, quello delle lezioni private, in quanto il 90% delle famiglie interpellate, ha dichiarato di non ricevere alcuna ricevuta fiscale dal che ha impartito la ripetizione privata. Ovvero, 9 insegnanti su 10 non dichiarano al fisco quanto incassato per ripetizioni e lezioni private fuori dall’orario scolastico. E si tratta nella maggioranza dei casi di lezioni impartite dagli stessi professori che lavorano nella scuola frequentata dagli alunni giuidicati con insufficienza, secondo quanto dichiarato dal 70% degli intervistati, che dunque si riducono a chiedere aiuto, per recuperare il proprio ritardo in una materia, ad un altro insegnante della stessa materia del medesimo istituto. Come dire che studenti di un’insegnante A prendono lezioni privatamente da un’insegnante B e viceversa. Uno scambio di scolaresca dunque, fra colleghi.

E non dimentichiamo gli studenti delle scuole medie, di cui il 20% – 150mila studenti – prende lezioni private dal costo medio di 15 euro, per circa due ore a settimana ed una durata media inferiore, rispetto ai ragazzi più grandi, di 4 mesi. Il giro d’affari annuo prodotto dal mercato privato delle ripetizioni per gli studenti delle scuole medie si aggira intorno agli 80 milioni di euro che, sommati al costo delle ripetizioni a livello della scuola superiore, produce un costo totale annuo in Italia di circa 900 milioni di euro di cui solo una minima parte, il 10% stando allo studio della Fondazione, viene dichiarato al fisco.

Da qui la necessità di regolamentare il mercato delle lezioni private, attraverso un incentivo fiscale mirato, secondo la proposta della Fondazione Luigi Einaudi, che chiede perciò al Ministro dell’Istruzione di aprire un’indagine sul fenomeno delle lezioni a pagamento, ricercando una soluzione quanto prima.

Sarebbe infatti la scuola italiana a non passare l’esame a questo punto, in quanto carente dal punto di vista formativo, se la metà dei suoi allievi, alle superiori, ricorre a lezioni a pagamento, per di più presso docenti del medesimo istituto di appartenenza. Fermo restando – sostengono alla Fondazione – che il dopo scuola debba essere dedicato ad attività extrascolastiche, in caso di necessità determinate da carenze didattiche, le ripetizioni vanno impartite all’interno della scuola, che se ne deve assumere il costo, azzerando gli oneri aggiuntivi per i contribuenti che con le proprie tasse già finanziano l’apparato pubblico scolastico. Un dovere dunque che si chiede al Governo, che la «Buona Scuola stronchi il mercato nero del dopo scuola, che spesso costituisce il doppio stipendio di quegli insegnanti che la mattina sono in classe ad insegnare ed il pomeriggio sono a casa a dare ripetizioni».

Laura Candeloro, Il Tempo del 11 maggio 2016

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