Record da abbattere

Record da abbattere

2.587 miliardi è il nuovo record del debito pubblico italiano. Anzi: lo era. Perché nel tempo necessario a scrivere e leggere queste poche righe quel record è già stato battuto. E continuerà ad esserlo, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Fino al primo mese di quest’anno era evidente che la corsa del debito andava fermata, come anche le fanfaluche di chi moltiplicava i rischi che corre l’Italia sragionando di debiti da non rimborsare e diritto sovrano di farlo crescere a dismisura. Da febbraio è risultato evidente che il debito non poteva che crescere, come capita ovunque il virus abbia inceppato lavoro e produzione, e che l’attenzione doveva concentrarsi non più su quel numero, ma sul modo in cui sono utilizzati i soldi in quel modo disponibili. Ed è su questo punto che il pericolo torna a essere troppo alto, per l’Italia.

Oggi i tassi d’interesse sono molto bassi e l’Italia è in sicurezza grazie alle istituzioni europee e alla Banca centrale europea. Lo scenario presente, ove non ci fossero state o fossero prevalse scelte diverse, sarebbe quello della tragedia. Per quanto a lungo tali politiche espansive possano essere mantenute, però, non sarà mai così a lungo da togliere le nubi dall’orizzonte prevedibile. C’è un solo modo per tenersi in sicurezza: investire quei soldi in modo che la crescita della ricchezza riprenda non solo compensando le recessioni che si sono succedute (l’Italia, proprio a causa delle scelte non fatte e del tirare a soffocarsi con spesa improduttiva, è il solo Paese europeo che non ha ancora recuperato le posizioni del 2008), ma che rimanga sostenuta viaggiando a una velocità superiore alla ulteriore, futura e prevedibile crescita del costo del debito. Tema vitale e sul quale Mario Draghi concentra l’attenzione, avvertendo che altrimenti le cose prenderanno una brutta piega.

Per dirla più brutalmente: spendere per compensare il non lavoro è un suicidio a scoppio ritardato, si devono impiegare i soldi per creare lavoro, non per mantenere chi non lavora. Il lavoro, per essere vero, deve essere produttivo, deve generare e non assorbire ricchezza. Il che comporta non solo investimenti, ma riforme, che vanno dalla qualificazione delle persone (assumere ancora docenti da graduatorie ad esaurimento è non solo una truffa ai danni degli studenti, ma un modo per far crescere la spesa e non la qualità) all’esistenza della giustizia, dalla pubblica amministrazione al codice degli appalti. Capitoli per i quali dire “sveltire, digitalizzare, ammodernare, ecocompatibilizzare ed equilibrare nel genere” significa non dire un accidente. Parole senza significato. Su ciascuno di questi temi sono state formulate proposte specifiche. Su ciascuno si possono avere idee diverse, naturalmente. Ma non disporre di un piano coerente, che metta in sincrono riforme ed investimenti, scadenzando le prime e quantificando i secondi, significa apprestarsi a sprecare un’occasione irripetibile.

Dopo di che resterà solo da festeggiare i record, nella dissennata corsa al primato della dissoluzione e dello spreco.

Formiche 

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