Protesta per Mahsa Amini e contro l’obbligo del velo: Ghazaleh Chalabi viene uccisa dai paramilitari iraniani

Protesta per Mahsa Amini e contro l’obbligo del velo: Ghazaleh Chalabi viene uccisa dai paramilitari iraniani

Ghazaleh era un’alpinista e atleta iraniana di 33 anni, colpita alla testa e uccisa dai volontari paramilitari basij durante le proteste per Mahsa Amini.

Nata nel 1989 ad Amol, aveva studiato gestione bancaria ed era stata contabile per una società privata.

Ghazaleh Chalabi, il 21 settembre 2022, è stata colpita alla testa da un proiettile di un fucile di precisione sparato da un ufficiale dei Guardiani della rivoluzione islamica. Ghazaleh stava filmando la manifestazione e aveva finito col registrare anche il momento in cui era stata colpita dal proiettile del cecchino.

Questo video, diffuso su Internet, ha fatto inorridire il mondo.

Prima della sua morte, Ghazaleh aveva compilato due volte la domanda per la donazione dei suoi organi in caso di morte cerebrale. La famiglia di Chalabi aveva annunciato la donazione di diversi organi della ragazza, ma le autorità iraniane non hanno permesso ai genitori di farlo.

I guardiani della rivoluzione hanno sequestrato il corpo della giovane vittima e hanno minacciato i genitori intimando loro di non fare clamore sul caso e di seppellire la loro figliola in un luogo sconosciuto.

Le ultime parole di Ghazaleh furono: “Non aver paura, non abbiamo paura”.

Una zia di Chalabi ha rivelato in un’intervista che sua nipote era entrata in coma prima di morire e che “le avevano sparato frontalmente”. Non è stata dunque colpita a caso, ma volontariamente. “Aveva un piccolo foro sulla sua fronte. Il proiettile è uscito dalla parte posteriore della testa dove si era formato un buco grande quanto un mandarino.

Le forze di sicurezza hanno minacciato di morte anche il fratello di Chalabi ammonendo anche lui a non rivelare la causa della morte della sorella.

Durante la cerimonia funebre vi erano molti agenti in borghese alla sua sepoltura e stavano filmando le persone per registrarle e poi intimidirle.

Le minacce sono parte delle tattiche intimidatorie utilizzate dai servizi di sicurezza iraniani per meglio reprimere le proteste che da mesi si levano nel Paese dal 16 settembre 2022, giorno dell’assassinio di Mahsa Amini.

Dopo oltre otto mesi di una coraggiosa lotta a mani nude, al prezzo della vita, ora con la disobbedienza civile e con gesti gioiosi, ironici e densi di simbolismo, le donne per le strade, sui mezzi pubblici, nei parchi, nelle scuole e nei campus universitari, ostentano i loro fluenti capelli, sciolti o a coda di cavallo, legati in crocchia o modellati in bob. “Il velo è solo un simbolo della protesta, dell’oppressione ed è paragonabile al Muro di Berlino”, sono convinte che se lo si abbatte, l’intero sistema della Repubblica islamica crollerà”, è questo il loro grido di libertà al mondo.

L’obbligo del velo è il pilastro più debole su cui si fonda la rigida applicazione delle leggi islamiche che costringono le donne alla segregazione e la polizia morale ha il compito di videosorvegliare l’abbigliamento delle persone e di arrestare coloro che non rispettano il codice prescritto dalle leggi vigenti della sharia.

Il regime teocratico non può rinunciare all’applicazione rigida della norma che segrega le donne confinandole in uno spazio di minorità: considerandole inferiori agli uomini, dunque. Non può sopportare che da oltre otto mesi, per le donne, la questione dell’hijab sia un capitolo chiuso, perché con questa rivoluzione le ragazze hanno di fatto già abolito l’obbligo di indossarlo. Le autorità iraniane non riescono più a far rispettare l’odioso codice di abbigliamento e ricorrono dunque all’inasprimento della legge e al terrorismo. La cosiddetta polizia morale continua a terrorizzare e a tormentare le donne di qualsiasi età, anche le bambine di nove anni.

Nelle scuole di Tehran e di diverse altre città del paese si registrano ancora attacchi chimici.

Il movimento giovanile di protesta accusa il regime della Repubblica islamica di volersi vendicare del coraggioso attivismo delle donne che hanno generato un moto di ribellione nonviolenta che sta scardinando le fondamenta ideologiche su cui si basa la teocrazia.

Dietro questi crimini contro l’umanità vi è la mano del regime che avrebbe incaricato gruppi di estremisti religiosi di mettere in atto tali azioni terroristiche nei confronti delle studentesse che si oppongono all’obbligo dell’hijab per escluderle dalle scuole e tenere dunque lontane dall’istruzione pubblica le alunne senza velo che hanno di fatto abbattuto l’apartheid di genere in Iran. Il gruppo estremista di Hamian-e Velayat è l’organizzazione sciita che starebbe dietro queste azioni terroristiche nelle scuole del paese. In passato tale formazione religiosa aveva lanciato attacchi contro i derwishi. Hamian-e Velayat è molto legata al figlio della guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, e ai pasdaran. L’obiettivo della parte più radicale del regime, infatti, sarebbe quello di terrorizzare la popolazione.

Un agente organofosfato viene liberato nelle aule di licei femminili provocando forte sudorazione, eccesso di salivazione, vomito, ipermotilità intestinale, perdita momentanea della vista, difficoltà respiratorie e paralisi, fino all’esito della morte. Tali sintomi si possono presentare anche a distanza di due settimane.

In questi ultimi giorni si sono registrati numerosi arresti di adolescenti che non indossavano l’hijab nei negozi e nei centri commerciali. A Isfahan quaranta negozi sarebbero stati chiusi perché il personale non indossava il velo. A Shandiz, nel nordovest dell’Iran, un agente delle forze volontarie paramilitari “basij” delle Guardie rivoluzionarie in borghese ha aggredito in un negozio di alimentari due donne senza l’hijab, rovesciando loro addosso un secchiello di yogurt.

“Fare il bene e proibire il male”, è il principio filosofico della Repubblica islamica. Il regime ha a lungo promosso la legge sul velo come simbolo del suo successo nell’istituzione della Repubblica islamica. La legge iraniana sull’hijab impone alle donne e alle ragazze di età superiore ai 9 anni di coprirsi i capelli e di nascondere le curve del proprio corpo sotto abiti lunghi e larghi. Nell’agosto del 2021 il presidente Ebrahim Raisi aveva inasprito la legge sull’hijab, imponendo un codice di abbigliamento più rigido e accaniti pedinamenti per farlo rispettare. La polizia morale aveva installato telecamere di videosorveglianza nei pressi di scuole, università e uffici e ad ogni angolo di piazze e strade. Ora le telecamere sono presenti anche nelle aule delle scuole di ogni ordine e grado.

Molte donne aderiscono ancora a questa regola, alcune per scelta e altre per paura. I video del Gran bazar nel centro della capitale Tehran, ad esempio, mostrano che la maggior parte delle donne si coprono i capelli.

Ma i video di parchi, caffè, ristoranti e centri commerciali, luoghi frequentati da donne giovani, mostrano che quasi tutte sono a capo scoperto. Non indossano più l’hijab le celebrità dell’arte, dello spettacolo e le atlete. “L’era dell’hijab forzato è ormai finita in Iran”, gridano le ragazze nelle piazze e nelle strade.

“I foulard torneranno sulle teste delle donne”, è la risposta del deputato Hossein Jalali ai media iraniani.

Ma ora la sfida tra il regime e i giovani è più che mai aperta e il dissenso nella nuova generazione rimane troppo diffuso per essere contenuto e troppo pervasivo perché vi sia un ritorno al rispetto del codice di abbigliamento, affermano le attiviste per i diritti umani.

Le donne con la disobbedienza civile stanno trasformando i loro foulard nell’arma più efficace e più potente contro la dittatura religiosa e gli strati profondi di misoginia e patriarcato della Repubblica islamica.

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