Soldi e libertà. È questa la miscela giusta di Lavazza che “più lo mandi giù, più ti tira su”. Non è soltanto una pubblicità ben riuscita: è una filosofia aziendale che oggi diventa esempio concreto, riconosciuto ufficialmente dalla classifica “Best Employers 2026. Prima in Italia, non a caso.
Torino, Settimo Torinese e Gattinara non sono di certo la Silicon Valley, ma rappresentano un Paese fatto di caffè, produzione e industria solida. Eppure qui si trova ciò che molti predicano e pochi praticano: libertà contrattuale, valorizzazione del merito, rispetto per la persona. Non per ideologia, ma per convenienza reciproca. Non per carità aziendale, ma per crescita condivisa. Il liberalismo – quello serio, quello che non si ferma ai proclami ma guarda ai risultati – non si sorprende: quando lo Stato lascia spazio alla contrattazione, quando l’impresa premia il valore invece di distribuirlo a pioggia, il lavoro migliora, la vita migliora. E la produttività? Sale, ovviamente. Perché – banalità da ricordare – lavorare meglio conviene a tutti.
Lavazza ha introdotto 10 giorni al mese di smart working, un venerdì corto, congedi estesi e flessibili, bonus fino a 15mila euro in tre anni. E ancora: permessi per accompagnare i familiari alle visite mediche o per portare dal veterinario il cane (o altri animali d’affezione). Fantascienza? Macché. Semmai contrattazione aziendale. Dietro queste iniziative non c’è un decreto né una direttiva né finanche un sussidio pubblico. C’è solo – e tanto basta – l’incontro libero tra le esigenze dell’impresa e quelle delle persone che ci lavorano. Una scelta autonoma nata dal dialogo, dalla fiducia reciproca e da una visione moderna del lavoro. E qui c’è davvero tutto ciò che un liberale dovrebbe applaudire: nessun controllo da parte del governo, niente inutili sussidi di Stato e nessuna imposizione normativa calata dall’alto. Solo accordi volontari, costruiti insieme da chi fa impresa e da chi lavora. E tutto ciò che serve per vedere un mercato che funziona e, per riflesso, relazioni industriali che evolvono. La responsabilità sostituisce il sospetto e la sfiducia. E i risultati parlano da soli. Anzi, parlano un linguaggio potente: quello della libertà.
A chi storce il naso di fronte ai premi ‘sostanziosi’ oppure ai ‘permessi per gli animali’ rispondiamo che la questione non è il merito del singolo provvedimento. E il metodo che conta. Non è lo Stato a dover stabilire quanto lavorare, quanto riposare o come organizzare la propria giornata. È l’impresa – libera e responsabile – che comprende che un lavoratore sereno, motivato, trattato da adulto, rende di più. E rende meglio.
Ed eccoci al fulcro della questione. “Più lo mandi giù, più ti tira su”: lo storico slogan di Nino Manfredi, lanciato esattamente quarant’anni fa, torna oggi più attuale che mai trasformandosi in una metafora perfetta. Il lavoratore manda giù la sfida, l’impegno e il senso della responsabilità. E si trova su: ascoltato, premiato e valorizzato.
Dal canto suo l’azienda investe, rischia e – importante – si fida. Quindi cresce.
Tutti vincono, nessuno perde e nessuno ruba nulla all’altro. A chi seguita a pensare che la soluzione ai problemi del lavoro sia una legge in più, un vincolo aggiuntivo, un tetto, un obbligo, Lavazza risponde con l’unica vera riforma che funge: la libertà. Di scegliere, di premiare, di costruire insieme. Che dire, allora? Se il buongiorno si vede dal caffè, forse è proprio così che dovrebbe svegliarsi l’Italia ogni mattina. Con un sorriso di fiducia, concretezza e buon senso.
La Lomellina

