Parliamone

Parliamone

Parliamone eccome, di Bibbiano. Ma parliamone non come dei forsennati forcaioli si permisero di parlarne: parliamone per parlare di noi stessi, del modo in cui il senso di giustizia è calpestato da una spettacolarizzazione incivile dell’accusa, del livello imbarazzante di cultura della classe (presunta) dirigente, che non si sottrae alla corrida pur di acchiappare qualche consenso, pur di infilare qualche banderilla sul groppone degli avversari, finendo con il matar quel che resta della giustizia.

Pochi si possono permettere il lusso di ripetere oggi le parole che dissero e scrissero nel 2019: tocca alla Procura dimostrare l’esistenza del reato presupposto e la colpevolezza degli indagati (allora tratti in custodia cautelare); nel frattempo vige la garanzia costituzionale della presunzione d’innocenza. Vale sempre e per tutti. Oggi sappiamo una cosa in più, rispetto ad allora: l’imputato principale è stato assolto in appello. La faccenda non è chiusa, potrebbe esserci un ricorso della Procura in Cassazione (vedremo), ma per come funziona il processo accusatorio, dovendo essere dimostrata la colpevolezza «al di là di ogni ragionevole dubbio», l’assoluzione quel dubbio dovrebbe ingigantirlo.

Il problema non è soltanto nelle Aule di giustizia, ma soprattutto fuori. Ci riguarda tutti, nessuno escluso. Se lo spettacolo dell’accusa ha preso il posto del racconto della giustizia è perché si vive nell’oscurantismo giuridico. Se i mezzi di comunicazione pompano quello scempio è perché cercano clienti e li cercano fra i forcaioli della porta accanto. Se i politici cavalcano lo spettacolo e si mettono sulla scia della comunicazione è perché sanno che scarseggiano i voti di quanti credono si possa avere una giustizia migliore, mentre abbondano quelli che cercano nella colpevolezza altrui un pezza per coprire la propria cattiva coscienza. Ed è questa broda maleodorante che da lustri inonda la nostra vita collettiva.

Vi pare possibile che un’inchiesta penale si chiami “Angeli e demoni”? È deviata la mente del titolatore ed è cancellata la coscienza dei copisti in veste di giornalisti. “Angeli” sono i bimbi innocenti, “demoni” gli indagati. E in piazza s’allestisce il rogo mediatico. Poi arriva la notizia che il “demone” sarebbe innocente, ma questo è niente rispetto al fatto che degli “angeli” non frega niente a nessuno: se è innocente è stato fatto del male a quanti sono stati tirati dentro un orrore che per loro resta tale.

La faziosità politica non mitiga la scena, ma la impreziosisce d’ignoranza e bassezza. Le bande che si scontrano – armate di mazze diffamatorie – cambiano colore, ma i due fronti sono sempre gli stessi: da una parte i colpevolisti e dall’altra gli innocentisti. Nessuna delle due parti è compatibile con la giustizia, che nel garantismo ha i baluardi del rispetto dei diritti e della certezza della pena. Mentre ai colpevolisti serve dire che è tutto evidente e «si butti via la chiave» (che quando la senti sai già d’avere innanzi un troglodita) e agli innocentisti serve dire che è «giustizia persecutoria e a orologeria» (che quando la senti vedi già la chilometrica coda di paglia). Per Bibbiano i criminali erano del Pd, per Metropol erano della Lega e per le froge sbuffanti delle rispettive fazioni sembra impossibile capire che si possa dissentire e avversare senza sentire il bisogno di criminalizzare.

Il nostro problema è questo. Nulla di ciò che ci accompagna da anni sarebbe mai stato possibile senza il consenso urlato e il dissenso vilmente taciuto. A proposito: va bene che si contesti alla Polonia la riforma della giustizia, ma va male che l’inciviltà della giustizia belga e l’uso di una bambina di 22 mesi per ricattare la madre siano stati accompagnati dal cacasottismo del Parlamento europeo, tremulo nel temere per ciascuno dei componenti, intanto in corsa per raccattare i peggiori istinti dell’opinione pubblica. C’è del marcio nella nostra scena pubblica. Tacerlo lo diffonde. Parliamone, quindi, di Bibbiano.

 

La Ragione

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