Palazzi di giustizia

Palazzi di giustizia

Le premesse sono chiare, l’intensità del conflitto destinata a crescere: l’Associazione nazionale magistrati e il Partito democratico hanno avviato quella che si annuncia come la campagna referendaria più avvelenata della storia repubblicana, tanto che viene da chiedersi se e in che misura il Capo dello Stato, nella doppia veste di presidente del Csm e garante degli equilibri costituzionali, userà la propria influenza per riportare il confronto ad un livello compatibile con la dinamica democratica e la responsabilità istituzionale.

Pare infatti chiaro che chi si oppone alla separazione delle carriere tra magistratura giudicante e inquirente non abbia intenzione di attenersi al merito della riforma. L’obiettivo dei comitati per il No è evidentemente quello di delegittimare i sostenitori del Sì, e con essi le Istituzioni repubblicane, processandone le presunte intenzioni (“vogliono mettere i pubblici ministeri alle dipendenze del governo”, principio che alberga in quasi tutti gli ordinamenti europei, ma di cui non vi è traccia nella riforma Nordio) e diffondendo l’infamante accusa di voler favorire le mafie e scardinare il sistema democratico. Veleno puro.

Un avvelenamento dei pozzi testimoniato dalla prassi, inaugurata a Napoli, di utilizzare per fini di parte i Palazzi di Giustizia. Emblematica la locandina dell’evento organizzato sabato nel Tribunale partenopeo. Si legge: “I magistrati del Distretto di Napoli accoglieranno giovani, studenti, associazioni e cittadini in una maratona di idee, dibattiti e spettacolo”, “ascolteremo le storie di studenti, magistrati, personaggi dello spettacolo e della cultura”, “discuteremo di giustizia, di pace, di parità di genere” e solo da ultimo “sarà presentato anche il comitato promotore per il No alla riforma costituzionale in materia di separazione di carriere”. Il procuratore Nicola Gratteri, primo testimonial del No, l’ha già detto in diverse uscite pubbliche: la riforma non punta, come pure è evidente, a garantire la parità tra accusa e difesa e a smantellare il sistema correntizio del Csm grazie al sorteggio, ma punta ad asservire la magistratura che si batte contro la criminalità organizzata. Di qui il reclutamento delle associazioni antimafia, come Libera di don Ciotti.

La recente uscita della segretaria del Pd, Elly Schlein, contro il governo a proposito dell’attentato subito dal conduttore di Report Sigfrido Ranucci si inserisce in questa dinamica. Ad illustrarne la strategia è stato, in un articolo firmato da Maria Teresa Meli sul Corriere, il senatore Andrea Giorgis: “Dobbiamo lanciare messaggi semplici ed efficaci per far capire che la posta in gioco non è rappresentata dagli aspetti tecnici della riforma ma dal fatto che è un ulteriore passo verso la democrazia totalitaria, quella della destra, secondo cui chi vince può tutto”.

Si è, dunque, programmaticamente deciso di ignorare “gli aspetti tecnici” della riforma, cioè il merito della riforma stessa, ritenendo evidentemente più efficace l’evocazione di spettri inesistenti. Un approccio falso e distruttivo, forse tollerabile in un partito politico, ma difficilmente accettabile da parte di funzionari dello Stato.

Assistiamo, così, alla sistematica negazione del metodo einaudiano, che individua nello studio approfondito della materia e nel dibattito con chi la pensa diversamente i presupposti della deliberazione politica. Per questo, per coerenza con l’insegnamento del suo autorevole predecessore e in nome della tutela delle Istituzioni e della fisiologia democratica che ne contraddistinguono il magistero, ci chiediamo se e in che misura il presidente Mattarella riterrà di esercitare la propria moral suasion sull’Anm e sul Pd.

La Ragione

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