Flavio Felice, da Il Foglio del 24 agosto
La decisione del popolo britannico di uscire dall’Unione Europea ci spinge a riflettere sul futuro del continente, sulla sua cultura politica e sulle sfide che lo attendono, come d’altronde pare si sia tentato di fare nel Vertice a tre tra Renzi, Hollande e Merkel. In molti hanno salutato con favore l’esito del referendum e hanno brindato alla liberazione dalla euro-burocrazia. Personalmente ho provato un senso di smarrimento, non tanto per la Gran Bretagna, quanto per il peso politico che la cultura politica liberale di matrice anglosassone ha avuto nella diffusione della democrazia e per lo scetticismo che provo nei confronti delle culture politiche continentale, troppo spesso nella storia attardate ad assistere con simpatia e complicità alla deriva dello stato totalitario.
Tra i maggiori esponenti di quella tradizione del liberalismo anglosassone che ha resistito ad ogni forma di totalitarismo vorrei ricordare l’economista austriaco Friedrich August von Hayek. In particolare, Hayek, sul finire degli anni ’30, ha offerto un contributo significativo alla causa del federalismo europeo. Nel settembre del 1939 l’economista austriaco pubblicherà il saggioThe Economic Condition of Inter-State Federalism. Pur non essendo tra i saggi più noti, esso ha il merito di evidenziare un tratto storico e biografico del nostro Autore di estrema importanza: l’aver compreso quanto le questioni filosofiche e metodologiche siano rilevanti ai fini di comprendere le ragioni che stanno alla base delle controversie politiche ed economiche.
Il saggio di Hayek sulle condizioni economiche del federalismo, di recente pubblicato per la prima volta in Italia da Rubbettino, esprime in forma sintetica le ragioni economiche del federalismo e tutta la critica all’idea sovranistica mossa dall’economista austriaco, insieme ad autori del calibro di Lionel Robbins, Wilhelm Röpke, Luigi Einaudi e Luigi Sturzo. Il saggio mette in evidenza cinque aspetti: la pace, in quanto valore alla base della teoria dello stato federale; i vantaggi economici del federalismo; i vantaggi politici del federalismo; la qualità della politica economica in un’unione federale; la relazione tra liberalismo e federalismo. Se è vero che un regime economico chiaramente liberale sia da considerare condizione necessaria per il successo di qualsiasi progetto federalista, allora, chiosa Hayek, dovremmo ritenere altrettanto plausibile che «l’abrogazione delle sovranità nazionali e la creazione di un ordine giuridico internazionale efficace è un complemento necessario, nonché il logico compimento del programma liberale».
Hayek intende richiamare l’attenzione verso la rinascita dei principi liberali, in quanto prospettiva civile capace di tenere insieme l’ambito dell’economia, quello della politica e quello della cultura. A testimoniare un simile proposito è un breve documento che Hayek scriverà a Londra nell’agosto del 1945: Memorandum on the Proposed Foundation of an International Academy for Political Philosophy Called “The Acton-Tocqueville Society”. Si tratta di un documento molto interessante, in quanto in esso Hayek esprime l’intenzione di dar vita ad un’associazione internazionale che tenga insieme scienziati sociali di impostazione liberale (credenti e non), provenienti da tutto il mondo. Sarà il documento che porterà alla nascita della nota associazione Mont Pelerin Society, costituita in Svizzera il 10 aprile del 1947 e che vedrà tra i fondatori pensatori del calibro di Ludwig von Mises, Walter Eucken, Wilhelm Röpke, Karl Popper e tanti altri importanti intellettuali liberali dell’epoca.
Con l’uscita della Gran Bretagna dalla UE l’Unione rischia di essere decisamente più debole, sotto il profilo del tasso di liberalismo, e i problemi sollevati – tra gli altri – da Hayek, Robbins, Röpke, Einaudi e Sturzo tornano drammaticamente d’attualità. Forse dovremmo ripartire proprio dal proposito di Hayek di dar vita ad una vasta lega della libertà a livello europeo, non volendoci arrendere al populismo autarchico, al totalitarismo aggressivo e al protezionismo liberticida, amando la libertà propria e altrui più di ogni altra cosa ed amando la patria altrui almeno quanto la propria. Consapevoli che nessun ordinamento burocratico – pubblico o privato che sia – possa evitare e negligere la realtà che esiste sempre qualcosa, come recita il testamento spirituale di Röpke, “oltre l’offerta e la domanda”.
Questo qualcosa è la dignità della persona umana; un ordine etico, quello della dignità umana, che chiede ancor oggi di essere compreso con la massima urgenza e profondità per non correre il rischio di sacrificare il dinamismo economico al ristagno degli accordi collettivi ovvero all’anarchismo degli interessi individuali, rispettivamente, figli di una logica neocorporativa ovvero di un ottimistico disinteresse per le ragioni dell’ordine sociale e della civitas humana, e finire per sacrificare le libere scelte individuali sull’altare della “presunzione fatale” del Grande Pianificatore.