Occidente, perché abbiamo perso la bussola

Occidente, perché abbiamo perso la bussola

Sembra che, dagli Stati Uniti all’Europa, una parte ampia del mondo occidentale, in preda a un raptus, voglia disfarsi dei gioielli di famiglia — il tanto di buono che la società occidentale ha costruito nel corso dei secoli — e cerchi di auto-distruggersi. Servono al più presto leader (al momento non se ne vedono) che spazzino via le idee false e bacate che circolano in Occidente e che obnubilano le menti di tanti. Per esempio l’idea, diffusa in Europa, secondo cui, anziché storicamente eccezionale, la combinazione di pace, prosperità economica e democrazia di cui godiamo dalla fine della Seconda guerra mondiale, sia destinata a durare per chissà quanti altri decenni o secoli. È difficile stabilire se si tratti di un’idea bacata «di destra» oppure «di sinistra». Forse è politicamente trasversale. L’hanno cavalcata per decenni gli antiamericani che negavano l’evidenza, ossia l’esistenza di uno stretto rapporto fra la Nato (e i legami interatlantici) e la pace in Europa. E la cavalcano oggi i «sovranisti» quando attaccano l’Unione europea, ossia l’altra struttura di sostegno (insieme ai rapporti interatlantici) della pace nel vecchio Continente. Qualcuno ha scritto che noi umani siamo «deterministi» rispetto al passato (è andata così e non poteva che andare così) e «possibilisti», aperti a varie eventualità, rispetto al futuro. Tradotto, ciò significa che tendiamo a non capire quanta aleatorietà e quanta casualità ci siano nella storia passata.

Il film «L’ora più buia» rende bene il senso di questa aleatorietà: Winston Churchill, nel 1940, in un momento-chiave della storia mondiale, corse il rischio di essere politicamente sconfitto da coloro che, nel suo stesso partito, volevano accordarsi con Hitler. Se questo fosse avvenuto la guerra avrebbe preso un’altra piega. Forse, la fine di quel conflitto avrebbe visto l’intero continente euro-asiatico spartito fra i totalitarismi e un’America chiusa, sulla difensiva, al di là degli oceani. È un grave errore credere che «non poteva andare così» dal momento che non è andata così. Chi in questo momento non sente scricchiolare il pavimento su cui cammina è sordo.

C’è un presidente degli Stati Uniti che vuole chiudere, in nome di un malinteso interesse nazionale, l’epoca della leadership americana. Un malinteso interesse: la fine della leadership degli Stati Uniti destabilizzerà (lo sta già facendo) il mondo e aprirà una stagione di conflitti sempre più intrattabili in cui l’America stessa – ma più debole di ora -, volente o nolente, verrà certamente risucchiata. A parte Putin e i suoi fiancheggiatori in Europa, quale persona dotata di senno può non condividere gli argomenti del generale Mattis, il dimissionario Segretario alla Difesa, contro la decisione di Trump di ritirare le truppe dal Medio Oriente? Al declino (largamente auto-inflitto) della leadership americana, e alla destabilizzazione, in cui Trump è impegnato, della storica alleanza fra Stati Uniti e Europa, corrisponde la crescita della potenza e della influenza degli Stati autoritari: Cina e Russia. Come accade sempre in questi casi, l’autoritarismo è una calamita: attrae consensi da tutte le parti. Nell’Europa degli Anni trenta, oltre ai comunisti, di stretta osservanza sovietica, in tutti i Paesi (anche quelli ancora liberi: Gran Bretagna e Francia) erano numerosi i simpatizzanti della Germania nazista. Le circostanze cambiano (e anche gli autoritarismi assumono sembianze diverse) ma l’effetto-calamita non si attenua.

Come hanno scritto, allarmati, tanti osservatori, le scelte di Trump — che certamente riflettono umori assai diffusi nella società americana — stanno permettendo alla Russia e alla Cina di diventare sempre più sicuri di sé e sempre più arroganti mentre dicono al resto del mondo: «Non avete più lo scudo e la protezione statunitense. Adesso dovete trattare con noi». Anche la nuova, probabile, corsa agli armamenti fra Usa e Russia è cosa diversa dal passato. Con l’America che agisce come potenza solitaria, non come leader di una vasta alleanza. È evidente che quando Putin evoca il rischio di guerra nucleare sta parlando agli intimiditi, impotenti europei. «Venite a me pargoli», sta dicendo. Anche nei primi Anni ottanta la Russia (allora Unione Sovietica) tentò — con il dispiegamento dei missili SS20 e SS21 — esattamente ciò che sta tentando ora: intimidire gli europei al punto da costringerli al decoupling, al distacco dagli Stati Uniti. Per «finlandizzare» l’Europa, come si diceva allora.

Ma il piano fallì per due ragioni. In primo luogo, perché alla Casa Bianca sedeva Ronald Reagan, leader del mondo occidentale nel suo insieme. Oggi, al suo posto, c’è solo un nazionalista americano. In secondo luogo, fallì perché l’Europa (al pari degli Stati Uniti), pur con le sue tante difficoltà, non era stata ancora aggredita dalle varie (e fra loro diverse) forme di antioccidentalismo oggi assai diffuse. A destra come a sinistra. A destra non si era ancora manifestato il virulento attacco sovranista ai principi della società libera occidentale (il libero scambio, la democrazia rappresentativa, lo stato di diritto) e alle istituzioni sovranazionali che quella società libera difendono. Se non fosse tragico ci sarebbe da ridere di fronte a ciò che certi sovranisti europei vanno dicendo sulla «finanza internazionale». Nemmeno lo sanno ma stanno ripetendo gli stessi argomenti, spesso con le stesse parole, che, negli Anni trenta/quaranta, usavano i nazisti.

A sinistra, per parte sua, non era ancora prevalente quell’ideologia del politicamente corretto che — nata nei campus universitari e poi diffusa ovunque attraverso i mass media — sta contribuendo da tempo a disarmarci moralmente e politicamente. Come, ad esempio, quando pretende che noi ci si vergogni della civiltà occidentale (abbasso Shakespeare e Cristoforo Colombo), o quando attribuisce all’Occidente la responsabilità di ogni misfatto che si compia nel mondo, o quando condanna, per principio, ogni azione di Israele mentre «assolve» i truculenti regimi islamici. Eccetera, eccetera.

Fortunatamente non siamo ancora alla «Ora più buia» ma è da incoscienti fingere che il peggio non possa capitare prima o poi e che dunque non valga la pena di agire con saggezza e con prudenza, difendendo i gioielli di famiglia. Forse dei Roosevelt e dei Churchill non se ne fabbricheranno più. Qualcuno pensa che abbiamo buttato via lo stampo. Speriamo che non ci servano mai.

Angelo Panebianco, Corriere della Sera 28 dicembre 2018

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