Nietzsche e la favola dell’uno vale uno

Nietzsche e la favola dell’uno vale uno

I miti di chi non lo ha letto

Certo che quando Nietzsche annunciò la «trasvalutazione di tutti i valori» non auspicava che il positivo diventasse negativo e il negativo positivo, che l’ignorante fosse sapiente e che, insomma, come dicono a Napoli, il parmigiano andasse sotto e i maccheroni sopra.

Voleva considerare il destino degli uomini che credono di essere dei padreterni e sono dei poveri cristi e invitarli, così, a essere fedeli al senso della terra, piuttosto che prestar fede a un mondo vero dietro il mondo reale. L’ideale del superuomo non è un uomo super ma un uomo normale che accetta la vita nonostante sia sofferenza senza redenzione.

Dopo la sua morte, avvenuta nell’anno 1900 come a battezzare il nuovo secolo, non è accaduto proprio quanto aveva annunciato tra ragione e follia, salute e malattia? Nel “Crepuscolo degli idoli” si legge il celebre aforisma: «Il mondo vero divenne favola». Non abbiamo noi molto spesso la sensazione o qualcosa di più di una sensazione di vivere un tempo in cui, ormai, tutto è favola e si crede anche al ciuccio che vola?

La storia del pensiero può essere utile per orientarsi nel mondo in cui viviamo. Attenzione: rinunciare a un criterio minimo di verità significa consegnarsi all’arbitrio, alle immagini, ai sofismi e, ancora, ai like, allo show, alle fake news e alla vita trasformata in un grande spettacolo senza che vi sia più la distinzione tra reale e irreale che è il discrimine affinché possa esistere lo spettacolo.

Nietzsche lo sapeva bene. Infatti diceva che togliendo di mezzo il mondo vero non è rimasto il mondo apparente perché la scomparsa del primo comporta anche la fine del secondo. Se il mondo è una favola, allora, la cultura non serve a nulla, il lavoro è inutile e, insomma, uno vale uno e tutto è uguale come mi pare e piace.

Non viviamo noi – o abbiamo vissuto per non poco tempo – in questa dimensione di irrealismo o di derealizzazione in cui il mondo non è ciò che è e nemmeno ciò che appare ma ciò che mi piace che sia o ciò che voglia che sia e se non è ciò che mi piace e ciò che voglio, beh, tanto peggio per il mondo?

Forse, da questa sbornia di cretinismo, in cui il dibattito pubblico ha ridotto l’Italia alla stregua di un pugile suonato, ci stiamo riprendendo a fatica.

Il mio è, diciamo così, uno sforzo di ottimismo civile. È necessario rivalutare il mondo vero – la cultura – e il mondo reale – il lavoro – perché senza un minimo di ragionevolezza per distinguere il vero dal falso e il reale dal finto finiamo tra le braccia degli impostori e senza il dovere, prima del diritto, del lavoro si è destinati alla sudditanza.

La Ragione

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