È umanamente comprensibile il fatto che una “sinistra senza popolo” (copyright Luca Ricolfi) sia rimasta sbalordita dalla mobilitazione popolare a favore della causa palestinese e di istinto abbia provato a metterci il cappello. Umanamente comprensibile, ma politicamente disastroso.
Parliamo del Partito democratico, naturalmente, che di quel che accade alla sua sinistra appare inutile curarsi.
Con il voto su Gaza espresso giovedì alla Camera, il Partito democratico di Elly Schlein ha, di fatto, conclamato la propria mutazione genetica: non più un partito solido con vocazione di governo, ma un movimento effimero con inclinazioni antagoniste. Nei giorni in cui, per la prima volta da due anni a questa parte, con il consenso di tutti i paesi arabi dell’area si stava negoziando un accordo di pace che, con gran scorno delle componenti messianiche del governo Netanyahu, prevede la permanenza dei palestinesi a Gaza così come in Cisgiordania e crea le premesse per un loro autogoverno sottratto al tallone criminale di Hamas, il Pd ha rifiutato di sottoscrivere una risoluzione parlamentare unitaria sul tema. Lo ha fatto per non essere scavalcato a sinistra dal Movimento 5stelle e da Avs, e per non perdere il consenso della Cgil, più che mai concentrata nella competizione con i sindacati di base, oltre che delle frange più radicali del movimento ProPal.
Alla Politica, il Pd ha preferito la Piazza. E non si tratta solo di un calcolo di convenienza elettorale. La verità è che questa è, come dice chi la conosce bene, la vera natura di Elly Schlein, che in effetti da Bologna si impose sul Pd nazionale militando e confliggendo alla sua sinistra. Una sinistra movimentista e radicale. Questa, dunque, la vera natura di Elly Schlein e questa l’odierna natura del partito di cui è segretaria.
Durante l’ultima Direzione, Schlein ha detto chiaramente ai dirigenti del Pd che le elezioni non si vincono al centro, ma mobilitando la propria base elettorale su temi identitari. Temi identitari come i diritti del popolo palestinese, spesso paravento di pulsioni anticapitaliste e/o antiamericane e/o antisemite. Nasce così la brillante idea di fare della bandiera palestinese il vessillo del Pd alle regionali marchigiane. Idea sconsideratamente fatta propria dal candidato dem Matteo Ricci. Idea che ha portato Ricci alla sconfitta e – di questo siamo convinti, ma non ci sono prove – molti elettori moderati di centrodestra a superare la tentazione dell’astensionismo e a votare per il governatore uscente di Fratelli d’Italia, Francesco Acquaroli. In Calabria, col candidato grillino Tridico, è andato in scena lo stesso copione.
Il risultato è che il Pd, ormai imbarcato sulla Flottilla, ha perso credibilità di governo. E come dimostra il rifiuto dell’appello di Sergio Mattarella a consegnare a Cipro gli aiuti per i palestinesi, ha perso anche sensibilità istituzionale. Che abbia per questo guadagnato elettori è cosa a di poco dubbia. Chi è scosso da fremiti antagonisti non vota per il Pd: si astiene, o vota per partiti più credibili quanto a proposta radicale, o attende che nasca il partito di Francesca Albanese.
Stiamo, dunque, con tutta evidenza assistendo ad una mutazione genetica che spinge il Partito democratico fuori dall’area del governo: un problema per chi crede negli effetti benefici della democrazia dell’alternanza. Perché se a Giorgia Meloni non vi è un’alternativa credibile, la concorrenza sfuma e la maggioranza sarà incoraggiata a dare il peggio di sé.
La Ragione