Marco Pannella: il ricordo di due amici

Marco Pannella: il ricordo di due amici

In occasione dell’anniversario della scomparsa di Marco Pannella, riproponiamo un’intervista del nostro Jacopo D’Andreamatteo.

A 90 anni dalla nascita di Marco Pannella, indimenticabile politico italiano, decido di contattare due personaggi, entrambi legati da un passato e da un’amicizia con il leader radicale. Ricardo Chiavaroli, consigliere regionale abruzzese dal 2008 al 2014 ma non solo, militante radicale sin dal 1987 e vicinissimo a Pannella anche negli ultimi tristi giorni di vita. Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Luigi Einaudi ma anche ex consigliere ed assessore regionale in Abruzzo, sempre e solo nel P.L.I.

Chiavaroli mi racconta subito come da giovane radicale, nel 1989 era in Piazza della Rinascita a Pescara, intento a completare l’installazione del palco che di lì a poco avrebbe ospitato Marco Pannella, in uno di quei discorsi-fiume primo repubblicani, “Non avevo mai parlato da solo con Pannella, ad un certo punto lo vedo arrivare, mi si avvicina e mi dice “Ciao, sono Marco” e con la sua enorme mano stringe la mia; ero emozionato e non ho potuto dire altro che “lo so”. Da quel giorno però non ci siamo più allontanati.”
Benedetto all’epoca conosceva già Marco Pannella e l’anno dopo le elezioni europee, nelle quali il Partito Liberale, il Partito Repubblicano e il Partito Radicale costituirono la c.d. “Lista Laica”, ottenendo il 4,40% dei voti e 4 seggi al Parlamento di Bruxelles, condivise l’emiciclo de L’Aquila proprio con Giacinto Marco detto Marco Pannella, eletto consigliere regionale nel maggio 1990, in Abruzzo, nel collegio natio di Teramo.
Ed è curioso come anche qui i ricordi inizino con un comizio in centro a Pescara: “Quando durante un suo affollato comizio in Piazza Salotto (nomignolo dato dai pescaresi a Piazza della Rinascita), mi vedeva passare, mi appellava con nome e cognome per un bonario sfottò, chiedendomi cosa stesse facendo Altissimo (Renato Altissimo n.d.r.) allora Segretario del P.L.I. Con il risultato di far girare tutta la piazza verso di me. Era il suo modo affettuoso di dimostrarti attenzione e, in qualche modo, anche stima“. Continuando a parlare dell’esperienza al consiglio regionale e del rapporto anche personale con Pannella, Benedetto non ha dubbi sul legame non solo politico ma anche personale: “Mi sentivo sicuramente più vicino a lui che a qualunque altro Consigliere Regionale nonostante Io fossi assessore e quindi al governo regionale e lui all’opposizione. In quei mesi ci siamo frequentati costantemente. Credo che fossi l’unico con cui si accompagnava a pranzo e cena, a L’Aquila o a Pescara.” Poi si lascia sfuggire un ricordo simpatico, anche lontano dal modo duro e combattivo del politico: “Si lamentava con gli amici ristoratori che all’epoca cominciavano a seguire la nouvelle cousine e le relative mini porzioni. Lo faceva a modo suo, tuonando nel suo dialetto abruzzese e chiedendo maxi porzioni dei suoi amati spaghetti alla chitarra.”
Anche Ricardo Chiavaroli racconta quanto amasse la pasta: “Guai se allo Sporting o altrove qualcuno gli serviva un piatto di pasta che non fosse De Cecco!” Ma non era solo il cibo e il suo amato sarto teatino Pio Marinucci a non fargli dimenticare le strade abruzzesi e in special modo quelle teramane: “Un legame profondo, viscerale, di amore a tutto tondo. Teramo città di origine e nascita, dove sviluppa un legame fecondo con la famiglia (in particolare con la madre franco-svizzera) lo sfollamento a Pescara per sfuggire alla guerra, le prime percezioni delle violenze e della negazione dei diritti e del diritto, hanno contribuito a farne un uomo ‘transnazionale’ che però sempre, in ogni occasione, non dimenticava di ricordare il suo <<essere un mulo abruzzese>>. Trovava sempre un’occasione, con maggiore intensità negli ultimi anni, per tornare con Sergio Rovasio (storico collaboratore di Marco Pannella) nel suo Abruzzo, nella sua Teramo. Tutta la sua politica era vissuta anche corporalmente, e quindi anche il legame con l’Abruzzo lo viveva fisicamente, doveva respirare l’aria locale.”
Ma quando comprendo che gli aneddoti pannelliani sono tanti e, non sarebbero sufficienti le pagine di un libro, chiedo a Chiavaroli un ricordo simpatico dell’uomo e del politico e un episodio che invece vorrebbe cancellare dalla mente e dalla storia: “Una delle cose che imparai da lui fu la forza del dialogo nonviolento con il presunto ‘nemico’ e, perché no, del sorriso; una mattina mentre eravamo in un hotel a Pescara ad un certo punto lui chiamò un tale Francesco per fargli gli auguri di compleanno e concluse la telefonata dicendogli <<oh, comunque non vedo l’ora di portarti le arance in carcere!>>. Solo a fine telefonata capii che stava parlando con Francesco Cossiga.”
“Non cancellerei invece nulla, – prosegue Chiavaroli – nemmeno i momenti del suo dileggio, subito in diverse occasioni. Ma vorrei, questo sì, che finalmente comprendessimo tutti quanti l’enorme riconoscenza che dobbiamo ad una persona – paradossalmente a volte incomprensibile – e che Giovanni Negri ha definito egregiamente come “l’illuminato”.”
Anche Giuseppe Benedetto non ha dubbi, quando finiamo a parlare della scissione che subì il Partito Liberale Italiano nel 1955, proprio per opera di Marco Pannella e di tutta la corrente che faceva capo a Mario Pannunzio e alla linea de Il Mondo (Scalfari): “A quell’epoca Pannella era un giovanissimo diciottenne. È vero che seguì quella dolorosa scissione del P.L.I., ma solo anni dopo divenne il leader che poi è sempre stato. Un uomo unico, che come pochi altri oggi manca all’Italia.”
Continuerei a fare domande ad entrambi, quando chiedo a Chiavaroli quali fossero gli atteggiamenti nella vita privata, quelli che solo i collaboratori più stretti possono svelare ricevo la conferma di come e quanto il politico abruzzese fosse autentico, nel bene e nel male “Per lui non esisteva una simile distinzione. Era sempre – in pubblico come in privato – geniale, travolgente, buono, e pure con tanti difetti personali e politici che a volte lo rendevano insopportabile ma che non nascondeva mai. Non è un caso che fu lui a coniare e a praticare ogni istante il concetto per il quale “il personale è politico”.”

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