Lavoro e dignità

Lavoro e dignità

Il paradosso italiano: alta percentuale di disoccupazione giovanile e aziende che faticano a trovare i lavoratori.

Ho letto di un’azienda italiana, una software house, quindi sviluppatori che predispongono software, che ha istituito un premio di 2000 euro per le donne che vengono assunte e di 1500 per i dipendenti maschi che vengono assunti. Questo come premio, come bonus di ingresso, al di là del contratto o dello stipendio.

Una volta era quello che cercava lavoro che festeggiava quando veniva assunto, mentre adesso è chi cerca lavoratori che festeggia e regala un premio a quelli che trovano altre persone che vanno a lavorare per l’azienda.

So, ad esempio, di un gruppo grosso di ristoratori ed albergatori liguri che si sono legati in una piattaforma per cercare lavoratori: scrivono di quali profili hanno bisogno ed invitano quanti vogliono andare a lavorare a registrarsi, perché magari la domanda e l’offerta si possono incontrare.

Ma è mai possibile che sia così difficile trovare persone che vadano a lavorare, in un Paese che ha un indice di disoccupazione spaventoso che diventa drammatico, se parliamo di disoccupazione giovanile o di disoccupazione femminile?

Purtroppo non solo è possibile, ma è quello che accade per due ragioni principali. La prima consiste nel fatto che c’è un problema di formazione: cioè non ci sono persone preparate a svolgere determinate attività. Allora invece di mettere i soldi in un assistenzialismo che droga il mercato del lavoro e rende più difficile trovare i lavoratori, non si investono per la formazione?

Non è un caso che il Ministro del Turismo Garavaglia abbia proposto di dare metà del reddito di cittadinanza a chi accetta un part-time. Vi rendete conto che ormai il contributo deve andare anche a chi va a lavorare? Perché accade questo? Perché il reddito cittadinanza rischia di essere se non superiore, comunque pari o non abbastanza inferiore al salario che si può guadagnare lavorando.

Dunque, i soldi vanno messi nella formazione, perché i soldi guadagnati con qualsiasi tipo di lavoro lecito sono soldi dignitosi. Mentre i soldi regalati, i soldi trasferiti, i soldi dell’assistenza tolgono dignità.

La seconda ragione, invece, ha natura macroscopica: domanda e offerta del lavoro non si incontrano, perché i nostri centri dell’impiego fanno pena e non funzionano. Ogni mese in Italia si concretizzano delle assunzioni e vengono stipulati dei nuovi contratti di lavoro, ma quelli che passano attraverso le agenzie del lavoro sono una minoranza.

È un sistema totalmente disfunzionale, che, però, ha un costo per il contribuente. Chi cerca le persone da assumere paga a sua volta un costo: ho fatto l’esempio di quell’azienda che dà un premio ai propri lavoratori che ne trovano altri oppure si rivolge ad agenzie del lavoro private e, quindi, deve retribuire quel lavoro.

Allora decidiamoci: o lo facciamo professionalmente e il professionista in questione viene retribuito, perché i lavoratori sono una risorsa produttiva e servono a far ricchezza e, allora, ha un senso oppure è un servizio pubblico.

Ma che io debba pagare, da contribuente onesto, il costo del servizio pubblico e poi da imprenditore, da dirigente d’azienda, da lavoratore debba poi pagare anche un altro servizio privato è una cosa che mi porta a essere meno competitivo, meno dinamico, meno presente.

Un Paese con questo numero di disoccupati non può avere né una scuola in queste condizioni, né dei sistemi di collocamento in queste condizioni, perché significa spingere le persone verso l’assistenzialismo, cioè verso la scarsa dignità. Questo, alla fine, ci si impoverisce tutti.

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