#laFLEalMassimo – Episodio 68: Salario minimo: buone intenzioni e cattive semplificazioni

#laFLEalMassimo – Episodio 68: Salario minimo: buone intenzioni e cattive semplificazioni

Nuovo episodio della FLE al Massimo, in apertura rivolgiamo sempre un pensiero al conflitto ancora in corso in Europa in seguito alla vile invasione perpetrata dalla Russia, con l’auspicio che la guerra possa terminare al più presto con la piena vittoria del popolo Ucraino.

Dopo questa doverosa premessa, proviamo a fare due riflessioni sul salario minimo, un tema su cui si discute molto a causa del recente accordo assunto in sede europea per la fissazione di un quadro uniforme.

Come l’abolizione della povertà o le leggi contro tutti i mali, il salario minimo è un’idea nobile che ha molto senso in teoria, ma che risulta maledettamente complicata da mettere in pratica.

Se non è troppo complicato individuare quale può essere un livello di retribuzione adeguato a mantenere un tenore di vita dignitoso, molto più complicato associarlo al lavoro svolto.

Imporre lo stesso salario minimo tra città con un costo della vita molto diverso sarebbe ingiusto, così come applicare la stessa soglia tra tipologie di lavori che comportano competenze, esperienze ed impegno fisico molto diversi. Ancora come applicare il minimo a quei progetti che non prevedono una quantità predefinita o pre-definibile di lavoro da svolgere?

Insomma, ci vorrebbe un minimo diverso per ciascun comune (ma poi come si fa a controllare?), ciascun tipo di lavoro, eccetera. Quindi è complicato, ma delle complicazioni non piace parlare a nessuno.

Forse la scelta più razionale è lasciare che sia il mercato a determinare il valore del lavoro e intervenire con dei sussidi da parte dello stato qualora questo valore non consenta una vita dignitosa.

Dite che è troppo semplice? Capita spesso quando  si tolgono alla propaganda ideologica e politica gli strumenti per rubare il consenso e si analizza la realtà senza pregiudizi.

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