La vera storia del referendum raccontata dal nostro Presidente Giuseppe Benedetto

La vera storia del referendum raccontata dal nostro Presidente Giuseppe Benedetto

Cara onorevole Deborah Bergamini, condirettrice di questo giornale, voglio darti una notizia. Nessuno ci ride più dietro. Quanti sorrisi ironici e compassionevoli ho dovuto vedere quando, nellottobre 2019, abbiamo deciso di lanciare la campagna referendaria per fermare lo scempio di una legge costituzionale che ha un solo obiettivo: umiliare il Parlamento e con esso la democrazia liberale. Mi dicevano in tanti, praticamente tutti: comprendiamo il tuo ragionamento, ma come puoi pensare che in epoca di populismo dilagante l’elettorato possa bocciare una siffatta legge. Taglia i parlamentari, l’odiata casta, dunque … Dunque un corno. La Fondazione Luigi Einaudi non ha bisogno di consenso, e non è pertanto alla ricerca di voti. Le sue iniziative sono di taglio culturale, anche delle provocazioni culturali, quando queste sono necessarie. Avevano votato NO in 14 su 630, alla Camera dei Deputati, contro questo abominio. Tutti i gruppi parlamentari, nessuno escluso da destra a sinistra, si erano espressi a favore della legge. Noi avevamo bisogno di 126 deputati o di 64 senatori per “convocarei comizi elettorali. Effettivamente eravamo un po’ folli. Nitido nella mia memoria è il ricordo di quel giorno, 8 Ottobre 2019. Eravamo tu, io e alcuni amici della Fondazione in quellorribile corridoio della Camera pomposamente chiamato Corea. Stavamo organizzando le ultime battute per scendere nella saletta delle conferenze stampa dove avremmo presentato una iniziativa che da a pochi giorni, il 12 Ottobre, si sarebbe tenuta a Milano. Tu sei stata chiamata dalla capogruppo del tuo partito per andare a votare, dopo pochi minuti, la legge de qua. A quel punto ho osservato che per quanto mi riguardava non avrei potuto esimermi da a poco da scagliarmi contro quel voto, creandoti inevitabile imbarazzo. Dopo un momento, per la verità breve di impasse, tu hai detto: «Ok. Vado e voto per disciplina di partito, ma penso che questa legge, così come è scritta, sia sbagliata: non renderà il Parlamento più efficiente e non farà eleggere parlamentari più capaci e preparati. E gli italiani devono saperlo. Quindi subito dopo il voto vengo con te in conferenza stampa e quando tu dirai che la Fondazione Luigi Einaudi promuoveil Referendum, e che da quel momento è impegnata a raccogliere le firme dei parlamentari per far esprimere i cittadini sulla legge, io dirò che la mia sarà le prima firma». E così è stato.

Oggi il dibattito politico in Italia verte su quel tema che pochi visionari nello scorso mese di ottobre hanno posto al centro della loro azione, facendo ridere gli addetti ai lavori, e non solo. Quando ogni mattina, aprendo le prime pagine di tutti i giornali, leggo editoriali di importanti direttori, disquisizioni di illustri costituzionalisti, endorsement di alcuni politici illuminati, tutti a favore del No, allora a sorridere sono io, e potrei e vorrei dire “noi abbiamo concluso la nostra battaglia”, ora tocca ad altri. Ma non lo faccio, non lo facciamo, Deborah, e sai perché? Perché ora la vittoria appare a portata di mano. Basta poco. Un impegno, in questi pochi giorni che mancano al voto, di quanti hanno a cuore la democrazia liberale e, quella che partiva il giorno 8 ottobre come una follia, sarà il salto di qualità di unItalia che dice no al populismo, archiviando una triste e sterile stagione politica. Un’altra Italia c’è. Pochi giorni fa un tweet della Fondazione Luigi Einaudi ha avuto dei numeri di visualizzazioni e di like per noi straordinari. Ci siamo limitati con un semplice calcolo numerico a rappresentare uno dei dati più significativi del dopo Referendum qualora vincessero i Sì. Nella malaugurata ipotesi, basterebbero 247 deputati e 134 Senatori per modificare, praticamente ad libitum, la Costituzione, senza possibilità alcuna per i cittadini di potersi esprimere con un Referendum. Scenario da brividi, per noi. E pare non solo per noi! Ormai è chiaro che la questione non è il risparmio (risibile) per le casse dello Stato, non è il miglior funzionamento delle nostre istituzioni e, pensa un po’, non è neanche il taglio dei parlamentari che dà il nome alla legge. In gioco c’è altro. A differenza dei tanti imbonitori della domenica, questa volta devo dare atto a Beppe Grillo di essere l’unico che dice le cose come stanno. «Ho un’ideaSorteggiamo i parlamentari. li primo passo? Un Senato dei cittadini. I politici non servono» (Grillo, Il Fatto 28 Giugno 2018). E argomenta il suo ragionamento anche con dote citazioni. Insomma, non lha buttata lì. Ci ha riflettuto. Ecco perché gli altri sono omuncoli e lui è il leader dei populisti. Perché è l’unico che ha il coraggio delle proprie idee. Con questa posizione noi ci dobbiamo misurare, e lo abbiamo ben chiaro. Abbiamo l’impressione che anche gli italiani lo stiano comprendendo. Vince la Politica (quella con la “P” maiuscola, quella di Croce, Einaudi, De Gasperi, Togliatti, Terracini, Nenni, Saragat, La Malfa) o vince Grillo? Agli elettori la parola. Proprio quello che ha chiesto e voluto la Fondazione Luigi Einaudi promuovendo il Referendum del 20/21 Settembre 2020.

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